Mi trovavo nel cuore della più grande area metropolitana del mondo e ancora non credevo che in un’ora di treno avrei raggiunto una rete di sentieri tra montagne e foreste giapponesi. Era stato Toru a rivelarmi questo piccolo segreto.
«Da Shinjuku sali sul treno per Ikebukuro e da lì prendi la linea Seibu per Hanno. Ti basterà scendere al capolinea: da lì la strada è tutta dritta fino alla foresta.»
Feci come suggerito da Toru e, sceso alla stazione di Hanno, mi incamminai per il lungo viale che andava verso nord. Era una delle classiche strade commerciali giapponesi, piena di negozi e ristorantini che, dopo qualche incrocio, divennero più radi, sostituiti da abitazioni, konbini, un karaoke, un supermercato, un McDonald’s. Mentre guardavo le auto in fila al McDrive cominciai a dubitare delle indicazioni di Toru, ma poco dopo scorsi la fine del viale. Sopra le ultime case, il bosco faceva la sua comparsa.
Il lungo stradone cedette il passo a una viuzza asfaltata in leggera salita che, facendosi strada tra le ultime abitazioni, mi portò all’inizio del sentiero. Guardai in alto sgomento: davanti a me c’erano scalini in legno e terra battuta che si arrampicavano ripidi sulla collina, per poi perdersi nel fitto del bosco. Sembrava tutto perfetto e sicuro, ma anche molto faticoso. Mentre pensavo che le colline giapponesi non erano dolci come quelle toscane, iniziai la mia salita. Dopo qualche scalino mi sentivo già molto in alto e voltandomi vidi la cittadina di Hanno sotto di me. In lontananza, esile come una canna di bambù, svettava il Tokyo Sky Tree. Ripresi il cammino e dopo pochi passi fui inghiottito dalla foresta.
Le foreste in Giappone
Le foreste che ho incontrato nelle mie escursioni nei dintorni di Hanno sono prevalentemente secondarie. Questo vuol dire che le foreste originarie (primarie) sono state tagliate e, nel caso di Hanno, rimboschite per lo più con cedro giapponese (sugi) e cipresso giapponese (hinoki). Il risultato è un bosco piuttosto uniforme, povero di biodiversità, ma non di fascino. In alcuni punti, si trovano anche essenze diverse.
Viaggiando in Giappone, questo tipo di paesaggio forestale è abbastanza comune. Eppure i rimboschimenti artificiali sono circa il 41% dei boschi giapponesi, il restante 59% sono foreste “naturali”[1]. Il cedro (44%) è la specie più utilizzata per i rimboschimenti, seguita dal cipresso (circa 25%). Ma prima di perderci in altri numeri, quello che stupisce di più è che oltre due terzi del territorio giapponese (il 68% circa) è ricoperto da foreste. Tra i paesi industrializzati, solo Finlandia e Svezia vantano percentuali di poco superiori, ma hanno anche una popolazione molto più bassa: rispettivamente 5,5 e 10 milioni, contro i 126 milioni del Giappone.
Il Giappone ha saputo gestire bene le sue foreste, ma tre secoli fa erano sull’orlo del collasso. Dopo quasi centocinquant’anni di guerre civili (1467 – 1615) il Giappone entrò in un prolungato periodo di pace, che favorì lo sviluppo del paese e la crescita della popolazione. Questo si tradusse in un maggiore bisogno di legname: per costruire le case della gente comune, i castelli dei signori feudali e dello shogun, per la lavorazione dei metalli e persino per l’agricoltura.
Nelle città giapponesi, interamente realizzate in legno, erano frequenti gli incendi. Il più devastante colpì Edo (l’odierna Tokyo) nel 1657: venne spazzata via metà della città e rimasero uccise centomila persone. Era chiaro che la situazione stava diventando insostenibile, non solo per i costi umani e la mancanza di legname, ma anche per il dissesto cui andavano incontro i vasti territori disboscati. Già nel 1666 un editto dello shogun metteva in guardia la popolazione dai pericoli dell’erosione ed esortava tutti a piantare nuovi alberi. Seguirono altri provvedimenti e nel 1700 era operativo un corpo di leggi per la gestione forestale[2].
Fu limitato e regolamentato l’uso del legname e parallelamente si sviluppò la selvicoltura. Furono studiate modalità per la propagazione delle piante per talea, ma anche per la raccolta, la conservazione e la germinazione dei semi, la messa a dimora delle piante, la potatura. Furono istituiti ispettori che avevano la funzione di censire i boschi, contare e misurare gli alberi e decidere quando e quali destinare al taglio. Nello stesso periodo si espanse l’industria della pesca, una fonte di cibo che abbassò la pressione agricola su territori e foreste.
Insomma, se oggi quasi il 70% del paese è coperto da boschi, è perché durante il periodo Tokugawa (1615 – 1867) fu implementata una gestione sostenibile delle foreste giapponesi. In più, il Giappone ebbe la fortuna di trovarsi in un’area climatica ricca di pioggia, che favorì la ripresa naturale dei boschi e lo sviluppo delle piantagioni. Per saperne di più, consiglio Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, di Jared Diamond, che dedica un capitolo al Giappone dell’era Tokugawa e a come riuscì a preservare il proprio patrimonio boschivo. Se invece volete scoprire le attuali foreste del Giappone, potete proseguire con la lettura.
Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere
Jared Diamond
Foresta primaria dell’Aya Biosphere Reserve (Miyazaki)
In Giappone ci sono tre tipi principali di foreste: conifere (nel nord e sulle Alpi giapponesi), latifoglie decidue con faggi e querce (Giappone centrale), latifoglie sempreverdi con alloro e altre specie (Shikoku, Kyushu e Honshu centro-meridionale). In Kyushu, nella prefettura di Miyazaki, si trova la più grande foresta primaria di alloro del Giappone ed è protetta all’interno dell’Aya Biosphere Reserve, riconosciuta nel 2012 dall’Unesco.
Circa il 16% della superficie della Biosphere Reserve è coperto da foresta naturale di alloro e altre specie e per il 25% da foresta secondaria di sempreverdi[3]. Quel 16% è un frammento pressoché intatto di foreste sempreverdi un tempo estese in Giappone e in altre parti dell’Asia, di transizione tra due ecosistemi: uno formato da piante tropicali, l’altro da alberi decidui adattati al clima temperato. A quanto pare, queste foreste sempreverdi esistevano già nel Cretaceo (143 – 65 milioni di anni fa).
Le attuali foreste dell’Aya Biosphere Reserve contribuiscono alla salubrità delle acque del fiume Aya. La bioriserva è visitabile, grazie a una rete di sentieri e a un ponte sospeso percorribile a piedi[4].
Camphor tree primeval forest, monte Tachibana (Fukuoka)
Restiamo in Kyushu e ci spostiamo un po’ più a nord, nei pressi di Fukuoka. Il monte Tachibana dalla sua vetta domina la baia di Hakata e sulle sue pendici cresce una foresta primaria dominata per lo più da essenze sempreverdi. Tra queste, l’albero di canfora è presente in migliaia di esemplari, di cui oltre seicento sono lì da almeno tre secoli. Questa foresta viene considerata il limite settentrionale dell’habitat naturale dell’albero di canfora.
La foresta è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici ed è attraversata da un sentiero con cui si raggiunge la vetta del Tachibana, incontrando lungo il percorso alcuni magnifici esemplari di albero di canfora. Questo albero appartiene alla stessa famiglia dell’alloro, è sempreverde e il più vecchio esemplare del Giappone è il Takeo no Okusu, un albero di tremila anni all’interno di un santuario nella cittadina di Takeo (Saga), a sud ovest di Fukuoka.
La foresta di faggi di Shirakami Sanchi (Tohoku)
Il paesaggio dell’area di Shirakami Sanchi ci è arrivato pressoché intatto dall’ultima era glaciale. Siamo in Tohoku, nel nord del Giappone, in un’area remota in cui le montagne non sono altissime, ma sono difficilmente accessibili per la distanza dai principali centri urbani e per le numerose valli profonde, con pendii ripidi, che ci regalano paesaggi magnifici e numerose cascate.
I centotrentamila ettari dell’area di Shrakami Sanchi sono dominati dal faggio. Le foreste di faggio sono comuni in Europa e Nord America, ma questa in Tohoku ha conservato una maggiore biodiversità. Durante l’ultima glaciazione i boschi di faggio si sono spostati verso sud e, in altri continenti, hanno trovato catene montuose che ne hanno bloccato l’avanzata e semplificato la composizione floristica, operando una sorta di selezione naturale. In Giappone questo non è avvenuto e la foresta di faggi di Shirakami Sanchi ha conservato una ricca biodiversità vegetale e animale, che include specie come l’orso nero e l’aquila dorata.
Il nucleo centrale di questa foresta è stato dichiarato patrimonio Unesco e, insieme alle foreste dell’isola di Yakushima, è stato uno dei principali luoghi di riferimento per gli artisti dello Studio Ghibli che hanno lavorato all’anime Principessa Mononoke.
– Leggi anche: Guida ai laghi giapponesi: i 15 più belli, limpidi e colorati
La foresta primaria di Yakushima
Quando gli artisti dello Studio Ghibli si sono addentrati nel cuore della foresta di Yakushima si sono trovati di fronte ad alberi antichissimi dai tronchi contorti, radici sporgenti, massi ricoperti di muschio verdissimo, acqua e ruscelli che sgorgavano ovunque. Forse, hanno avuto la sensazione di trovarsi in un bosco sacro.
L’isola di Yakushima si trova una sessantina di chilometri a sud della punta meridionale del Kyushu, ma la sua lontananza dalla capitale Edo (Tokyo) non l’ha salvata dai disboscamenti del periodo Tokugawa. Grazie all’opera di rimboschimento, oggi l’isola è ricoperta da foreste in buona parte secondarie, ma si sono conservate discrete porzioni di magnifica foresta primaria. Si dice che a Yakushima piove 35 giorni al mese, un detto che non pare esagerato se pensiamo che qui le piogge raggiungono gli otto metri all’anno. Quest’abbondanza di acqua ha creato una vegetazione rigogliosa che nei tratti di foresta primaria si manifesta in tutta la sua potenza e la sua magia.
In soli cinquecento chilometri quadrati, l’isola di Yakushima ospita 1900 specie e sottospecie vegetali, tra cui l’onnipresente cedro giapponese (sugi), che nei tratti di foresta primaria raggiunge età record. Sono stati censiti diversi esemplari con età superiore ai mille anni, tra cui l’esemplare noto come Jomon sugi, il più vecchio albero del Giappone. Alcuni studi gli attribuiscono un’età minima di 2000 anni, ma secondo alcune stime potrebbe avere tra i 5000 e i 7000 anni. Il patriarca di una foresta che è lì sin dalla nostra preistoria.
Foreste del Parco nazionale di Chichibu-Tama-Kai
A ovest di Tokyo, poco oltre i sentieri di Hanno di cui parlo nell’introduzione, si trova il Parco nazionale di Chichibu-Tama-Kai, che si estende per 1.250 km2 tra le prefetture di Tokyo, Saitama, Nagano e Yamanashi. È un parco che comprende diverse aree montane, con otto vette che superano i duemila metri. Anche se ci troviamo su un arcipelago vulcanico, le montagne di questa parte del Giappone sono in buona parte calcaree e questo ha influito sulle specie vegetali presenti, inclusi gli alberi stessi.
Come in altre parti del paese, qui crescono cedri, cipressi, faggi, aceri, ma la vera star di quest’area è la Betulla di Chichibu (Betula chichibuensis), una specie rarissima di cui fino al 2015 si conoscevano solo 21 esemplari in natura. Erano stati rinvenuti tra i pendii calcarei dei monti Okuchichibu, che si trovano in buona parte all’interno del Parco nazionale di Chichibu-Tama-Kai. Dopo il 2015 sono state individuate altre piccole popolazioni di Betulla di Chichibu, ma rimane tutt’ora uno degli alberi più rari al mondo.
Il Parco nazionale di Chichibu-Tama-Kai ha numerosi punti di accesso, sentieri e una varietà di paesaggi che include foreste, montagne, gole, cascate. Dai monti Okuchichibu, tempo permettendo, è possibile scorgere in lontananza il monte Fuji.
− Leggi anche: Le Alpi giapponesi e le montagne del Giappone
Foreste di Mangrovie di Iriomote
Molto più a sud di Yakushima e quasi di fronte a Taiwan, l’isola di Iriomote ospita la più grande foresta di mangrovie del Giappone. Nonostante i suoi 289 km2 di estensione, l’isola ha meno di duemila abitanti e circa l’80% del suo territorio è area protetta.
In Giappone si trovano alcuni tra i luoghi più nevosi del pianeta, ma l’arcipelago delle Nansei, che include Iriomote, si colloca nella fascia subtropicale, con un clima che supporta una foresta costiera con sette specie di mangrovie. All’interno dell’isola si trovano tratti di foresta primaria in cui vive una rarissima specie felina, il gatto di Iriomote, di cui rimane un centinaio di esemplari. Ha le dimensioni di un gatto domestico ed è ritenuto un fossile vivente, non essendo cambiato molto dalla sua forma primitiva.
Grazie alla ricchezza di specie vegetali, animali e di endemismi, Iriomote è considerata un hotspot di biodiversità e per questo qualcuno l’ha descritta come la Galapagos d’oriente.
Foresta di Aokigahara
Mille anni per la storia umana sono tanti, ma per una foresta è ben poca cosa. La foresta di Aokigahara, con i suoi 1200 anni di età, è considerata giovane. La sua origine risale all’864, quando il monte Fuji eruttò per ben dieci giorni. Le ceneri arrivarono fino alla baia di Edo (Tokyo) mentre la lava si espanse sulle pendici del vulcano , riempì il grande lago Senoumi, dividendolo negli attuali laghi Saiko e Shojiko. Su questa landa desolata, dove un tempo sorgeva un lago, nel corso del tempo la vegetazione ha iniziato a germogliare e si è formata la foresta di Aokigahara.
La foresta si estende per trenta chilometri quadrati e vista dall’alto sembra un mare di alberi. È una foresta abbastanza insolita, composta in buona parte da conifere come abeti, cipressi, cedri, ma ospita anche latifoglie come Quercus mongolica, diverse specie di aceri, l’agrifoglio (Ilex pedunculosa). Sul suolo si è sviluppato un ricco sottobosco e le rocce vulcaniche sono ricoperte di muschio. Certe parti della foresta sono molto fitte e la roccia lavica porosa assorbe il suono, contribuendo al senso di solitudine che alcuni visitatori attribuiscono alla foresta.
− Leggi anche: Leggende giapponesi: storie, miti e racconti popolari del Giappone
Le foreste e le paludi di Quando c’era Marnie
Quando c’era Marnie (2014) è uno degli ultimi lungometraggi animati dello Studio Ghibli. Oltre la storia, di questo anime colpiscono i paesaggi, in apparenza poco giapponesi. Lo Studio Ghibli si è ispirato in questo caso a un’area insolita del Giappone, l’Hokkaido, la più a nord tra le quattro principali isole del paese. Qui si trova il Kushiroshitsugen National Park, un’area in buona parte pianeggiante, paludosa e ricca di foreste che è stata un luogo di riferimento importante per gli artisti dello Studio Ghibli.
Il Kushiroshitsugen National Park comprende la palude di Kushiro, la più grande area umida del Giappone, e l’area montuosa circostante. Il paesaggio orizzontale vasto e incontaminato è la più grande attrazione del parco. La parte acquitrinosa è il regno della vegetazione di palude, ma nei dintorni prosperano foreste di ontano che si sviluppano a perdita d’occhio.
Oltre alle paludi e alle foreste, un’importante attrazione del parco è la gru giapponese (Grus japonensis) che in passato si credeva estinta nel paese. Nel 1926 fu osservato un gruppo di una ventina di individui proprio in queste paludi e da allora gli sforzi di conservazione ne hanno incrementato la popolazione fino a un migliaio di individui.
La foresta di Totoro
Quando si parla di foreste giapponesi è difficile non tirare in ballo lo Studio Ghibli. Le foreste sono state fonte di ispirazione per ambientare alcuni dei lungometraggi e, nel caso di Principessa Mononoke, hanno contribuito allo sviluppo della trama, che include uno scontro tra la foresta, gli alberi, gli animali e le divinità silvane da un lato, e una civiltà umana che vuole soggiogare la natura abbattendo gli alberi e distruggendone l’anima. Di tutt’altro tono è la storia de Il mio vicino Totoro, legata alla scoperta della vita di campagna e della natura da parte di due bambine. È in una piccola foresta che le due bimbe incontrano Totoro.
Per questo anime lo Studio Ghibli si è ispirato alle campagne e ai boschi nei dintorni di Tokorozawa, nella prefettura di Saitama, a una quarantina di chilometri da Tokyo. Viaggiando in quest’area si ritrova il paesaggio de Il mio vicino Totoro, fatto di campagna, campi di riso, fattorie e i boschi che tuttora ricoprono le Sayama Hills. Per preservare queste foreste, nel 1990 nacque la National Trust of Totoro no Furusato, che l’anno successivo acquistò un primo tratto di bosco che fu chiamato Totoro no Mori #1 (Foresta di Totoro #1). Da allora sono state fatte decine di acquisizioni, per un totale di circa sessanta ettari di bosco. Nella Foresta di Totoro #1 è stata costruita la Kurosuke’s House, dove è possibile fotografarsi insieme a Totoro.
Note
1 Questo non significa che si tratti foreste primarie: anche il bosco ceduo, cioè tagliato periodicamente per ottenere la legna, è un bosco “naturale”, non è cioè il risultato di piantagioni.↵
2 Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere. Einaudi, 2005.↵
3 Nel 1977 Tatuo Kira, riferendosi alla superficie lucida delle foglie, propose di classificare queste foreste come Lucidofille. Kira, T. 1977 A climatological interpretation of Japanese vegetation zones. In: Miyawaki, A. & Tiixen, R., eds, Vegetation Science and Environmental Protection, 21-30. Maruzen, Tokyo.↵
4 Per maggiori info: http://www.myzck.gr.jp/pamphlet/img/aya01.pdf↵