Il mangaka Shigeru Mizuki (1922 – 2015) qualche anno fa ha pubblicato l’Enciclopedia dei mostri giapponesi. Quasi cinquecento pagine dedicate ad altrettanti mostri, spesso accompagnati da una leggenda. Le storie e le leggende giapponesi non si esauriscono a quelle che hanno i mostri come protagonisti. Ci sono miti e racconti popolari che raccontano storie di samurai, dee, demoni, persone del popolo, animali intelligenti e coraggiosi come la volpe, il gatto e il tanuki, il simpatico cane procione.
Nello spazio di un articolo non potevo che fare una scelta tra le migliaia di storie, miti e racconti popolari del Giappone. Ho selezionato sette leggende giapponesi tra quelle che mi hanno più emozionato e hanno colpito la mia immaginazione. Nella scelta ho tenuto conto anche della varietà di temi e protagonisti. Troverete storie di samurai come Viaggio dell’onzoshi alle isole, leggende giapponesi horror come Shutendoji il demone beone, racconti sull’amicizia come L’appuntamento dei crisantemi. In alcuni casi tra i protagonisti ci sono piante e animali, mentre un altro articolo l’ho dedicato alle Leggende giapponesi sull’amore.
Dopo ogni leggenda ho segnalato il libro in cui l’ho letta. Avrete così modo di leggere la storia nella versione integrale, insieme ad altri miti e racconti popolari del folklore giapponese.
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Il sogno di Akinosuké
Akinosuké era un samurai di campagna. Un giorno era con due amici a parlare e bere nel suo giardino e, sentendosi stanco, schiacciò un pisolino all’ombra di un cedro. Si addormentò e iniziò a sognare. Nel sogno era nello stesso giardino, vi giunse un corteo e l’uomo che ne era a capo iniziò a parlargli. Gli disse che era stato mandato da un re e che era richiesta la sua presenza al palazzo. Akinosuké decise di obbedire, fu fatto accomodare in un palanchino e portato al palazzo reale. Una volta arrivato, il samurai apprese che il re lo desiderava come genero; indossò gli abiti da cerimonia che gli furono forniti e raggiunse una sala immensa, dove si tenne la cerimonia nuziale. Conobbe così sua moglie e il re, che gli affidò il governo di un’isola chiamata Raishu.

Sbarcò sull’isola insieme alla moglie e nei primi tre anni di governo, grazie all’aiuto di saggi consiglieri, promulgò leggi che migliorarono le condizioni sociali della popolazione. Terminato questo compito, continuò a svolgere il suo ruolo di governatore per lo più presiedendo a riti e cerimonie. L’isola e i suoi abitanti prosperarono per i successivi venti anni e la moglie gli diede ben sette figli. Purtroppo un giorno la donna si ammalò e infine morì. Fu sepolta in cima a una bellissima collina e una volta terminato il periodo di lutto il re ordinò ad Akinosuké di tornare presso il suo popolo, si sarebbe preso cura lui dei sette figli. Il vedovo obbedì umilmente all’ordine e fu accompagnato con onore su una nave. Quando questa lasciò il porto, l’isola di Raishu si fece sempre più grigia, per poi svanire per sempre.
In quel momento Akinosuké si svegliò e si rese conto di trovarsi sotto al suo cedro, in compagnia dei due amici. Raccontò loro il suo sogno e gli amici, stupiti, gli dissero che aveva dormito solo per pochi minuti. Uno dei due gli rivelò di aver visto una farfalla che svolazzava sul suo viso addormentato; la stessa farfalla si era poi avvicinata al suolo e fu catturata da una grossa formica che la tirò dentro al formicaio. I tre ne dedussero che la farfalla era l’anima di Akinosuké e che il formicaio nascondeva il segreto del suo sogno. Iniziarono a scavare e portarono alla luce una piccola città in miniatura, simile a quella del sogno di Akinosuké. Si distingueva anche una sorta di isola, con una bella collina sormontata da un piccolo tumulo, al cui interno, scoprirono, era sepolta una formica femmina.
Libro
Ombre Giapponesi, di Lafcadio Hearn, contiene la leggenda del sogno di Akinosuké. L’isola di Raishu rimanda al mito dell’isola di Horai, anch’esso raccontato da Lafcadio Hearn in Ombre giapponesi.
Ombre giapponesi
Lafcadio Hearn
Shutendoji il demone beone. La leggenda giapponese con elementi horror
Il folclore, le leggende e i miti giapponesi sono popolati di spiriti e demoni e non di rado contengono scene che potremmo definire horror. È il caso della leggenda di Shutendōji, un demone che viveva sul monte Ōe, nei pressi di Kyoto, da cui faceva razzie e rapiva giovani fanciulle. Una delle vittime era Kunitaka, figlia del Secondo Consigliere imperiale e fu l’imperatore stesso a chiedere di recuperarla a sei dei suoi migliori uomini. Nelle leggende giapponese fantasia ed elementi storici spesso convivono e tra i sei scelti dall’imperatore c’era Minamoto no Yorimitsu (948–1021), un guerriero giapponese realmente esistito.
I sei guerrieri si travestirono da monaci itineranti (yamabushi) e si diressero verso il monte Ōe. A un certo punto si imbatterono in una grotta dove stavano tre vecchi. Questi dissero che le loro mogli e figlie erano state rapite da Shutendōji e donarono ai guerrieri un sakè miracoloso, capace di dare effetti benefici agli uomini e di avvelenare i demoni. I guerrieri, commossi dalla generosità dei tre anziani, proseguirono il loro cammino e giunsero fino alla dimora di Shutendōji, che credendo fossero innocui monaci itineranti li invitò a banchettare con lui. È qui che inizia la parte horror e splatter. Ai sei uomini fu offerto da bere sangue e per cibo un braccio e una gamba appena tagliati da una delle ragazze rapite.

Yorimitsu, per non rifiutare l’ospitalità di Shutendōji, bevve e mangiò e, una volta conquistata la sua fiducia, gli offrì il suo sakè. Il demone gradì la bevanda e la offrì agli altri demoni che vivevano con lui. Dopo che il sakè fece effetto e i demoni si erano ritirati nelle loro stanze per dormire, Yorimitsu riuscì a parlare con Kunitaka (la figlia del Secondo Consigliere imperiale), che indicò ai guerrieri la camera di Shutendōji. Quando entrarono il demone dormiva e dal nulla comparvero i tre vecchi della grotta, che si rivelarono essere le divinità che i sei guerrieri avevano pregato prima di partire. Grazie al loro aiuto, i guerrieri ebbero la meglio sui demoni e riuscirono a salvare Kunitaka e le altre ragazze rapite. Nella capitale fu gran festa, il monte Ōe fu liberato e iniziò un’era di grande tranquillità.
Libro
Il libro La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone, contiene la leggenda giapponese appena raccontata, Shutendōji il demone beone.
La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone. Racconti dal medioevo giapponese
A cura di Roberta Strippoli
La leggenda di Momotaro
La leggenda di Momotaro ha origine nell’attuale prefettura di Okayama, in Giappone, dove un tempo viveva una coppia di anziani senza figli. Un giorno, mentre l’uomo era nel bosco a tagliare la legna, la moglie trovò una pèsca enorme lungo il fiume. Aveva appena finito di lavare i panni, raccolse il grosso frutto e lo portò in casa. Quando la sera il marito tornò, decisero insieme di aprire la pesca per mangiarla. Quando l’uomo iniziò ad affettarla, la pesca si aprì improvvisamente e ne uscì un bambino. Questi tranquillizzò i due anziani e disse che era lì per portare loro felicità. I due anziani, pieni di gioia, lo adottarono e lo chiamarono Momotaro, il bambino pèsca.
Raggiunti i quindici anni, Momotaro disse ai genitori che sarebbe partito. Si era preparato da anni a una missione, sconfiggere i demoni che abitavano un’isola. Erano alti come il bambù, alcuni con la pelle verde, altri blu, altri rossa e di notte sbarcavano sulle coste del Giappone per fare razzie nei villaggi, rubare, uccidere e rapire persone. Promise ai genitori di tornare, allora il vecchio andò nel bosco per fabbricare una lancia contro i mostri e la donna preparò dei dolcetti con farina di miglio da mangiare durante il viaggio. Momotaro partì e lungo il suo cammino incontrò tre alleati: un cane, una scimmia e un fagiano, che si offrirono di aiutarlo. Lui accettò volentieri e condivise con loro il suo cibo. Arrivarono fino alla costa, fabbricarono una barca e giunsero infine all’isola dei demoni.

Era notte e, complice l’effetto sorpresa, Momotaro e i suoi amici animali sconfissero i demoni, che chiesero pietà e furono risparmiati. Promisero di non fare più razzie, liberarono le persone rapite e restituirono le ricchezze rubate. Momotaro tornò sulle coste del Giappone e restituì beni e persone ai villaggi. Fu accolto con grandi feste, si accomiatò dai compagni e tornò dai vecchi genitori, che aspettavano il ritorno del figlio. Ancora oggi la città di Okayama ricorda con orgoglio la leggenda giapponese di Momotaro. Fuori la stazione centrale c’è una bella statua che raffigura Momotaro, il cane, la scimmia e il fagiano e tra i souvenir più popolari ci sono i kibi dango, dolcetti ispirati a quelli preparati dalla madre di Momotaro.
Libro
Il libro Racconti Popolari Giapponesi, di Adriana Lisboa, contiene la leggenda di Momotaro.
Racconti popolari giapponesi
Adriana Lisboa
Viaggio dell’onzoshi alle isole. La leggenda con protagonista il samurai Yoshitsune
Yoshitsune era uno dei più grandi samurai del Giappone e dalla sua vita furono tratte diverse storie e racconti giapponesi. In questa leggenda, Yoshitsune parte per l’isola di Chishima, dove nel palazzo della capitale erano custoditi i testi sacri che gli avrebbero consentito di regnare sul Giappone. Fu un viaggio fantastico e terribilmente lungo e prima di arrivare a destinazione fece sosta in isole con strani abitanti. Si incontrò ad esempio con gli uomini cavallo (la parte inferiore del corpo umana, la parte superiore equina) dell’isola di Mumabitojima, con le abitanti dell’isola in cui vivevano solo donne, con il popolo dell’Isola dei Nani. E le volte in cui si trovò di fronte a popolazioni bellicose, si mise a suonare il suo amato flauto di bambù, tirandone fuori melodie che misero di buonumore i malintenzionati.
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È quello che fece anche quando giunse a Chishima, dove gli isolani lo accolsero con bastoni e frecce avvelenate, ma una volta allietati dal flauto gli indicarono la via del palazzo reale. Gli strani popoli incontrati nelle altre isole erano nulla in confronto a quello che attendeva adesso Yoshitsune. Il gigantesco palazzo reale era circondato da mostri con la testa di toro e di cavallo che volevano mangiare il giovane samurai, ma questi si salvò ancora con la musica del flauto, talmente ammaliante che i mostri decisero di presentarlo al Gran Re. Questi era un mostro alto cinquanta metri, con svariate gambe, braccia e trenta corna in testa. Apprezzò la musica di Yoshitsune, lo accolse nel palazzo e un giorno gli fece conoscere la figlia, una bellissima principessa di cui il nostro eroe si innamorò perdutamente. Lei ricambiò e lo aiutò a recuperare i testi sacri custoditi nel palazzo, ma alcuni segni le rivelarono che stava per accadere qualcosa di brutto.

Diede i rotoli a Yoshitsune e gli intimò di fuggire, svelandogli alcuni segreti che gli avrebbero protetto la fuga. Lui desiderava portarla con sé, ma lei rifiutò. Yoshitsune si imbarcò, ma quando Gran Re si accorse del furto mandò i mostri a inseguirlo. Lo avevano quasi raggiunto, ma con il trucco rivelatogli dalla principessa fece emergere dal mare tre isole di sale che bloccarono i mostri e gli permisero di arrivare sano e salvo in Giappone. Grazie ai testi sacri avrebbe conquistato il paese. Una notte gli comparve in sogno la principessa, gli parlò e lui capì che le era toccato un tragico destino. A quanto pare, la principessa era un’incarnazione della dea Benzaiten di Enoshima.
Libro
Il libro La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone contiene la leggenda appena raccontata, Viaggio dell’onzoshi alle isole.
La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone. Racconti dal medioevo giapponese
A cura di Roberta Strippoli
La moglie salice
Molti secoli fa in un villaggio giapponese si trovava un grosso salice, amato delle persone del luogo. In particolare da Heitaro. La sua casa era nei pressi del salice, lo vedeva mattina e sera, a volte accendeva un bastoncino di incenso e pregava sotto i suoi rami. E quando seppe che c’era bisogno di legname per costruire un ponte e il salice andava abbattuto, Heitaro offrì in cambio altri suoi alberi e lo salvò dalle lame.
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Una notte, seduto sotto alle fronde del salice, si accorse della presenza di una donna bellissima. I due si scambiarono un po’ di parole e dopo un po’ lei svanì all’improvviso, così come era comparsa. Nelle notti seguenti Heitaro tornò sotto al salice e incontrò di nuovo la giovane donna. I due iniziarono così a frequentarsi ogni sera, lei gli rivelò di chiamarsi Higo e alla fine decisero di sposarsi. Vissero felici ed ebbero un figlio, ma un giorno si sparse la notizia che a Kyoto dovevano costruire un tempio dedicato a Kannon e c’era bisogno di legname.

Il salice fu scelto tra gli alberi da abbattere e questa volta Heitaro non riuscì a impedirlo. Tutto sommato se ne fece una ragione, aveva una moglie e una famiglia e questo bastava a renderlo felice. Ma quella notte fu svegliato dal pianto di Higo. Lei sapeva che stavano per abbattere l’albero e che lo avrebbero fatto a pezzi. Per la prima volta rivelò al marito di essere l’anima del salice e che gli abitanti del villaggio la stavano uccidendo. Heitaro abbracciò la moglie e da fuori giunse uno schianto. Il salice era caduto a terra e Higo non era più tra le braccia del marito, svanita nel nulla.
Libro
Il libro Miti e leggende del Giappone. Fiori, giardini e alberi, di Frederick Hadland Davis, contiene la leggenda della moglie salice.
Miti e leggende del Giappone. Fiori, giardini e alberi
Frederick Hadland Davis
Una leggenda del maneki neko
Molti appassionati di leggende giapponesi probabilmente già conoscono il maneki neko, il famoso gatto con la zampina alzata. Abbiamo già raccontato due leggende sul maneki neko in un altro articolo, qui ne riportiamo una terza. A Yoshiwara, il quartiere dei piaceri di Edo, viveva una cortigiana di rango elevato di nome Usugumo. Era un’amante dei gatti e un giorno, mentre andava in bagno, uno dei suoi gatti iniziò a miagolare forte, a tirarle il kimono e si rifiutava di allontanarsi.
Il proprietario del bordello, credendo che il gatto la stesse attaccando, gli mozzò la testa con una spada. La testa del gatto schizzò via verso un angolo buio del bagno e conficcò i suoi denti sul collo di un grosso serpente, uccidendolo. Usugumo si rese conto che il gatto le aveva salvato la vita e cadde in depressione per la sua morte. Per porre fine alla sua tristezza, il proprietario del bordello fece realizzare una statua in legno che assomigliasse esattamente al suo gatto. L’artigiano fu così bravo che Usugumo si riprese dalla depressione e tornò a essere felice.

In molti furono colpiti dalla bellezza della statua del gatto, ne furono ordinate altre copie e i mercanti iniziarono a venderla nei mercati di Asakusa e poi nel resto del Giappone. Una stampa di Hiroshige del 1852 mostra un bancarella ad Asakusa che espone diverse statuine del maneki neko.
Libro
Il libro Hakutaku. Storie di mostri giapponesi di Matthew Meyer, riporta questa leggenda del maneki neko.
Il libro dello Hakutaku. Storie di mostri giapponesi
Matthew Meyer
L’appuntamento dei crisantemi
Hasebe Samon era un povero studioso dell’antica provincia di Harima[1]. Era il periodo degli stati belligeranti (1467 – 1603) e Samon viveva in una piccola abitazione insieme alla madre. Non aveva accumulato ricchezze, si era sempre dedicato allo studio e ad aiutare gli altri. Un giorno si prese cura di un viandante, visibilmente ammalato. Lo accolse, lo nutrì, lo curò e dopo qualche giorno l’uomo guarì. Si chiamava Akana Soemon, era stato al servizio di un sovrano dell’ovest del Giappone in qualità di insegnante di trattati militari. Mentre era ospite da un altro signore, il suo sovrano fu rovesciato e decise alla fine di allontanarsi. Durante il viaggio si ammalò e fu salvato da Samon.
Hasebe Samon ascoltò la sua storia, si trovò in sintonia con lui e lo invitò a restare ancora per un po’. Akana accettò e ben presto i due diventarono grandi amici. Passavano giornate intere a parlare e un giorno si scambiarono un patto di fratellanza. Samon non aveva fratelli, Akana aveva perso la famiglia da tempo e sarebbe stato felice di averne una nuova. La madre di Samon fu lieta di avere una nuova persona in casa e i tre trascorsero insieme mesi felici. Quando giunse l’estate, Akana disse al fratello che doveva recarsi di nuovo nelle province dell’ovest, ma che avrebbe fatto ritorno prima della fine dell’autunno. Samon gli chiese di indicargli una data precisa e il fratello promise che sarebbe ritornato per la festa dei crisantemi, il nono giorno del nono mese.

Akana partì, trascorse l’estate e iniziò il nono mese. Samon si preparò per il ritorno del fratello, pulì la piccola casa e il nono giorno comprò riso, pesce e sakè. Tutto era pronto, ma Akana non arrivava. Giunse la sera, nel cielo si vedevano la luna e la Via Lattea, ma Samon sapeva che il fratello era di parola e continuò ad aspettare. La madre era andata a dormire e dopo che la luna scomparve dietro i monti, con grande tristezza Samon decise di rientrare in casa. Fu in quel momento che vide apparire un uomo dall’ombra. Era Akana! Colmo di gioia lo invitò a entrare, gli offrì cibo e sakè. Il fratello entrò e gli raccontò cosa era successo. Al suo ritorno il nuovo sovrano, dopo averlo accolto, non gli permise di uscire dal castello. Il nono giorno del nono mese si avvicinava e quando infine giunse, non potendo fuggire, si gettò sulla sua spada. Fu così che il suo spirito giunse fino a lì, all’appuntamento dei crisantemi. «Ora devo lasciarti per sempre» disse Akana, «prenditi cura di nostra madre». Fece per alzarsi, ma la sua figura si affievolì e svanì senza lasciar tracce.
Libro
Il libro Racconti di pioggia e di luna, di Ueda Akinari, riporta la leggenda L’appuntamento dei crisantemi. La stessa storia è raccontata in maniera un po’ diversa da Lafcadio Hearn in Ombre giapponesi, con il titolo Una promessa mantenuta.
Racconti di pioggia e di luna
Ueda Akinari
Note
1 La provincia di Harima corrispondeva a parte dell’odierna prefettura di Hyogo, dove si trovano Kobe e Himeji, famosa per il suo castello.↵