La casa tradizionale giapponese ha il potere di evocarmi le emozioni di un intero paese. Mi basta intravedere un pezzo di tatami in un anime, o le classiche porte scorrevoli di legno e carta in un film, per sentirmi in viaggio. E se penso alle dimensioni medie delle dimore del Sol levante, mi accorgo che in pochi metri quadrati è raccolta una bella fetta della cultura nipponica. Gli esterni e gli interni delle abitazioni giapponesi devono molto alla tradizione samurai e zen e, in un’area specifica nota come tokonoma, viene collocato di solito un bonsai, una composizione floreale ikebana, o un oggetto artistico.

In questo articolo vorrei accompagnarvi in un viaggio oltre le misteriose porte scorrevoli di legno e carta, entrare nelle stanze delle case giapponesi e darvi qualche suggestione per scoprirne di più. Magari di persona, sognando di viaggiare in Giappone e, almeno per un giorno, soggiornare in una casa tradizionale, entrare in contatto con le persone e la loro vita quotidiana.
Gli interni delle case giapponesi tradizionali
Il tatami
Se penso alla tipica casa giapponese, la prima cosa che mi viene in mente è il pavimento in tatami (畳). Il tatami è un’esperienza multisensoriale, che colpisce prima la vista per il colore giallo della paglia, e poi il tatto: si cammina senza scarpe, si percepisce l’elasticità delle fibre vegetali, il confort che danno ai piedi e al corpo quando ci si siede. Il pavimento in tatami mi dà un senso di infantile libertà: i piedi sono finalmente senza scarpe, ci si può sedere, sdraiare, sgranchire, mangiare, dormire, meditare. È un modo di vivere la casa che non ha eguali in occidente. Cambia anche la percezione dei rumori, il suono dei passi è ovattato, e degli odori.

I tatami sono stuoie di paglia pressata dalla forma rettangolare, di solito di lunghezza doppia alla larghezza, con una superficie di quasi due metri quadri. Sono un elemento così caratterizzante delle abitazioni giapponesi da essere diventati un’unità di misura. L’area delle abitazioni viene definita in tatami, o più spesso in tsubo, che corrisponde a due tatami. Siccome la dimensione standard dei tatami varia leggermente a seconda delle zone (i più grandi sono quelli di Kyoto), l’area dello tsubo è stata standardizzata legalmente e corrisponde a 3,306 metri quadrati [1].
Ingresso della casa giapponese: il Genkan
Nelle case giapponesi, tradizionali e moderne, le scarpe sono bandite. All’ingresso c’è un’area chiamata genkan (玄関), ribassata rispetto al resto del pavimento. È qui che bisogna abbandonare le scarpe, riporle in una scarpiera (se c’è) e indossare le pantofole.

Molte case giapponesi moderne, soprattutto gli appartamenti più piccoli, non hanno il pavimento in tatami e si può camminare ovunque con le pantofole.
Nelle abitazioni tradizionali, dal genkan non si accede direttamente alle stanze coperte in tatami. Le case in stile shoin, ad esempio, sono circondate da un corridoio-veranda in legno, dove si cammina con le pantofole. Quando poi si accede alle stanze in tatami, occorre abbandonare le pantofole e rimanere con le calze o a piedi nudi.
Gli Shoji
I grattacieli di vetro hanno invaso da tempo Tokyo, Osaka e tante altre città, ma nella casa tradizionale giapponese spicca l’assenza del vetro. Gli shoji, le porte scorrevoli che separano la casa dall’esterno, lasciano passare la luce attraverso la carta bianca traslucida, montata sul lato esterno di un reticolo di legno.

La tradizione prevede l’uso di washi, una speciale carta giapponese ricavata da una varietà di gelso, nota come kozo. Per l’inverno, può essere montato uno strato di washi anche all’interno dello shoji, per aumentare l’isolamento termico, che a quanto pare è buono nonostante la sottigliezza della carta.
La superficie della carta usata per gli shoji diffonde la luce solare in maniera uniforme e la rende più morbida alla vista. Di notte, riflette la luce interna e illumina la stanza.

Il reticolo di legno, il bianco della carta, la morbidezza della luce, i giochi di ombre e di silhouette rendono lo shoji uno degli elementi più distintivi delle case giapponesi tradizionali. I suoni passano attraverso la carta e, grazie al canto degli insetti, rendono romantiche le notti estive e autunnali; e allo stesso tempo, vista la mancanza di privacy, spingono le persone a parlare e muoversi con grazia e dolcezza [2].
Engawa
Gli shoji sono usati anche come porte interne, ma più spesso hanno una funzione simile alle nostre finestre. La presenza di carta washi, però, non consente di esporli direttamente alla pioggia e altri elementi. È per questo che intorno alle case tradizionali giapponesi corre una sorta di veranda-corridoio, detto engawa.

L’engawa è chiuso verso l’interno dagli shoji, che si aprono su stanze ricoperte di tatami, e verso l’esterno da pesanti imposte di legno chiamate ama-do. Durante le belle giornate le imposte vengono rimosse e la casa comunica con l’esterno attraverso lo shoji.

Fusuma
Nelle case occidentali, così come nelle abitazioni giapponesi moderne, gli spazi sono delimitati, in maniera precisa e definitiva, dai muri. Nelle case tradizionali del Sol Levante invece, grazie ai fusuma, gli spazi interni sono adattabili.

I fusuma sono pannelli verticali rettangolari che, come gli shoji, scorrono su binari di legno. Hanno una struttura reticolare in legno su cui vengono applicati carta e stoffa da entrambi i lati, così non lasciano passare la luce e hanno una buona capacità di regolare il calore e l’umidità della stanza. Hanno insomma la funzione di pareti, ma possono essere facilmente spostati orizzontalmente per aprire e chiudere le stanze, o addirittura rimosse e spostate per creare nuovi spazi, a seconda delle esigenze.
Washitsu: la stanza giapponese tradizionale
La stanza in stile giapponese è chiamata washitsu (和室) ed è composta dalle unità che abbiamo visto sopra: tatami, shoji e/o fusuma, più eventuali altri elementi.
Nelle dimore tradizionali le stanze erano per la maggior parte in stile washitsu. Le case moderne, invece, sono per lo più in stile occidentale, ma delle abitazioni tradizionali conservano il genkan (sempre) e non di rado, se sono grandi abbastanza, una washitsu.
La washitsu può avere diversi usi: spazio per la famiglia, per gli ospiti, o per riporre oggetti tradizionali. Spesso contiene elementi di arredamento o religiosi come il tokonoma, il butsudan, il kamidana, il kotatsu.
Tokonoma
Il tokonoma è un elemento decorativo della stanza in stile giapponese. È una nicchia nella parete dove di solito è appeso un rotolo (chiamato kakemono o kakejiku) in cui è raffigurato un dipinto o una calligrafia giapponese. Oltre al kakemono appeso, sul ripiano del tokonoma possono essere presenti un bonsai, o una composizione floreale , oppure un oggetto artistico, di rado tutti insieme: è importante, secondo l’estetica zen, che il kakemono (appeso) e l’altro oggetto (bonsai, ikebana, ecc.) siano disposti secondo uno schema asimmetrico.

Spesso accanto al tokonoma è collocato il chigaidana, un vano con armadietti e scaffali a parete.
Butsudan e Kamidana
Nella stanza in stile giapponese (washitsu) delle case moderne viene spesso collocato il butsudan, l’altare buddista di famiglia.
Generalmente contiene rappresentazioni di divinità buddhiste e tavolette commemorative per antenati defunti. Per loro vengono poste offerte, fiori e accese candele o incensi.
Oltre al butsudan, nelle case giapponesi può essere presente anche il kamidana, un piccolo altare dove si venerano divinità shintoiste, chiamate in giapponese kami.

Kotatsu
Se si dispone di una stanza in tatami, il più piacevole passatempo invernale è rilassarsi sotto il kotatsu. È un tavolino basso dotato di un riscaldatore elettrico. Grazie alla coperta fissata sotto al piano del tavolo, conserva un tepore accogliente che mantiene le gambe al calduccio e invita a passarci ore, tra pranzi, cene, spuntini, film, libri, pisolini. L’ideale per le oziose giornate invernali.

Il kotatsu è spesso presente nelle abitazioni giapponesi contemporanee, collocato nel washitsu o in alternativa nel soggiorno.
Una breve storia delle case giapponesi
Lo stile delle abitazioni giapponesi tradizionali, con il pavimento in tatami, gli shoji, l’engawa, deve la sua diffusione al radicarsi del buddhismo zen nella classe dei samurai. Siamo nel tardo periodo Muromachi (1336 – 1573), quando i principi zen di semplicità e austerità furono ripresi nelle abitazioni della classe guerriera come reazione al lusso delle dimore dell’aristocrazia di corte. Emerse così lo stile architettonico shoin (shoin zukuri), che nacque inizialmente nei monasteri zen, dove lo shoin era la sala in cui si leggevano i sutra, o lo studio del priore[3]. Col tempo, questo stile si trasmise anche alle case private dei samurai.

Le abitazioni realizzate in stile shoin zukuri includevano gli elementi che abbiamo già visto: tatami, shoji, tokonoma, fusuma, genkan, etc.
Parallelamente, ci fu una simile evoluzione anche nell’architettura dei padiglioni del tè, ridefinita secondo canoni di un’eleganza più semplice e rustica rispetto al passato.
All’inizio del periodo Edo (1603 – 1867) gli stili shoin e dei padiglioni del tè iniziarono a fondersi nel sukiya zukuri, una sorta di versione informale dello shoin zukuri. Grazie al miglioramento delle condizioni di vita, lo stile sukiya fu presto adottato dal ceto medio e nei secoli successivi è stato quello adottato nelle case tradizionali giapponesi e, ancora oggi, nella stanza washitsu di numerose case moderne.
La casette giapponesi antiche
La casa tradizionale si diffuse prima tra i samurai e, solo più tardi, nel periodo Edo con lo stile sukiya, fu adottata anche dal ceto medio e poi dalle altre classi. Prima di allora, le classi non guerriere vivevano nelle casette giapponesi note come minka (民家) che significa letteralmente case della gente, case private. Erano le abitazioni di agricoltori, artigiani, mercanti.
Erano costruite in legno e il tetto era fatto con la paglia di un’erba chiamata susuki [4]. Una volta tagliata e legata a mazzi per formare i tetti delle case di campagna, quest’erba prende il nome di kaya e, a quanto pare, è più durevole della paglia di riso[5]. I pavimenti erano di solito una combinazione di una parte rialzata in legno e un’area in terra battuta. I tatami potevano essere assenti.
Un architetto giapponese mi ha raccontato che le minka erano realizzate con materiali locali e che hanno sviluppato stili diversi nelle varie aree del paese. Qui sotto, ne troverete alcuni.
Gasshou-zukuri

Le minka gasshō-zukuri (合掌造り) sembrano uscite da un racconto fantasy, per come sono uniche. Sono riconoscibili per la forma del tetto, che ricorda due mani in preghiera: gasshō-zukuri significa “stile a mani giunte”. Queste abitazioni si trovano nelle prefetture di Gifu e Toyama, ad esempio nei villaggi di Shirakawa-go e di Ainokura e sono emerse nel periodo Edo con la diffusione della sericoltura[6]. L’ampio tetto ospitava due o tre livelli di soppalchi in legno destinati all’allevamento dei bachi da seta.
Magariya

È un tipo di casa rurale diffusa nel Tohoku (il nord est dell’isola principale del Giappone, Honshū) e ha la caratteristica forma a elle a cui deve il suo nome: magariya (曲り屋) significa letteralmente “casa piegata”. Le magariya avevano uno spazio adibito a stalla per i cavalli, un’area di lavoro/magazzino non pavimentata e uno spazio abitativo.
Funaya
Le funaya (舟屋) sono case di pescatori che si trovano nel villaggio di Ine, affacciato sul mar del Giappone, nella prefettura di Kyoto. Sono costruite sulla superficie del mare e una parte del loro piano inferiore aveva la funzione di rimessa per la barca, mentre l’altra porzione era una sorta di officina dedicata allo stoccaggio degli attrezzi da pesca, alla manutenzione dei pescherecci e all’essiccazione del pesce. Il piano superiore era usato come abitazione.

Ine si affaccia sul mar del Giappone, dove le escursioni di marea sono minori ed è improbabile che si verifichino tsunami, in più è protetto su tre lati da una baia. È per questo che le funaya si trovano solo in questo villaggio.
Futatsuya
Sono venuto a conoscenza delle futatsuya leggendo Le bugie del mare, di Kaho Nashiki, un bel romanzo che consiglio agli appassionati di Giappone. Le informazioni che riporto qui sono tratte dal libro.
Futatsuya significa letteralmente casa doppia e si trovavano nel sud del Kyushu. Erano costituite da due edifici che da una certa distanza possono apparire separati, ma sono in realtà contigui l’uno con l’altro. Una delle due parti era un’ampia stanza con tatami dove erano collocati il butsudan (l’altare buddhista) e il kamidana (un santuario scintoista in miniatura); la stessa stanza era usata anche per ricevere gli ospiti. L’altro edificio della futatsuya conteneva invece la cucina, gli spazi annessi e vi si svolgeva buona parte della vita quotidiana.
Machiya

Le minka includevano abitazioni rurali e urbane. Queste ultime erano note come machiya (町屋/町家), che significa letteralmente “casa di città”. Per lo più erano casette a schiera, costruite in legno e di solito ospitavano una bottega al piano inferiore e la zona abitativa al piano superiore. Si possono trovare un po’ ovunque in Giappone, ma quelle meglio preservate si trovano nell’antica capitale Kyoto, a Kanazawa, a Kurashiki nel suo quartiere storico Bikan, e in alcuni villaggi giapponesi.
Kabuto-zukuri

Le minka kabuto-zukuri (兜造り), un po’ come quelle in stile gasshō, hanno tetti molto ampi e sono dotate di soppalchi destinati alla sericoltura, fiorita verso la metà del periodo Edo. Si trovano nel Giappone orientale e devono il loro nome alla somiglianza con l’elmo dei samurai (kabuto, 兜, significa elmo).
Note
1 Japanese units of measurement, Wikipedia L’enciclopedia libera, 20 dicembre 2021, da https://en.wikipedia.org/wiki/Japanese_units_of_measurement#Area↵
2 DIY Japanese Shoji Sliding Door Panels, SFGATE, 20 dicembre 2021, da https://homeguides.sfgate.com/diy-japanese-shoji-sliding-door-panels-105516.html↵
3 Giappone. La vita in zen, di Gavin Blair, 2019, Nuinui editore.↵
4 Si tratta del Miscanthus sinensis, una graminacea.↵
5 La bellezza del Giappone segreto, di Alex Kerr, edizione 2019, pag. 40, EDT editore.↵
6 Fonte: JAANUS, Japanese Architecture and Art Net Users System, articolo su gasshou-zukuri http://www.aisf.or.jp/~jaanus/deta/g/gasshouzukuri.htm↵