Fiume Indo: viaggio nella valle dell’Indo e nel suo futuro

Dalla sorgente in Tibet fino alla foce nel mare Arabico, il fiume Indo compie un viaggio di oltre tremila chilometri. Un percorso in cui incontra catene montuose, pianure fertili, deserti, dighe, metropoli, ma anche i resti di antiche civiltà e montagne sacre.

L’Indo è un fiume dalla grande storia. Lungo il suo bacino si sono sviluppate alcune tra le più antiche civiltà, sono sorte le città gemelle di Harappa e Mohenjo-daro e segnò la fine del viaggio verso oriente di  Alessandro Magno. L’Indo ha origine nei pressi del Kailash, monte sacro a quattro religioni: Bön, Buddhismo, Giainismo e Induismo.

Le sorgenti tibetane, il grande bacino idrografico e l’apporto dei monsoni garantiscono all’Indo una portata media di circa 6700 metri cubi al secondo, più del doppio di quella del Nilo − che con il Rio delle Amazzoni si contende il primato di fiume più lungo al mondo − e oltre quattro volte quella del nostro fiume Po. Eppure, questo flusso d’acqua impetuoso, che con il suo limo e le sue esondazioni ha fertilizzato per millenni le pianure della civiltà dell’Indo, nella sua parte bassa e nei pressi della foce è quasi a secco e l’acqua salata del mare tende a risalire il suo corso.

Il fiume Indo e la fortezza di Attock, in Punjab (Pakistan) – Imkashi94, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

La storia del fiume Indo è quella di un fiume sacro per antiche civiltà, oggi sbarrato da decine di dighe, sfruttato − non di rado sprecato − e oggetto di contese. E in più, come il resto del pianeta, è soggetto a cambiamenti climatici che rischiano di ridurne ulteriormente la portata. Eppure ancora oggi, il fiume dove tutto è cominciato riesce a sostenere milioni di persone e persino una curiosa e fragile specie di delfino che vive esclusivamente nelle sue acque.

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Dove si trova il fiume indo: mappa e percorso

L’Indo scorre principalmente in Pakistan, ma ha origine in Cina e per un tratto attraversa l’India del nord.

Mappa del fiume Indo e dei suoi affluenti
Mappa del fiume Indo e dei suoi affluenti – Keenan Pepper, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Il fiume Indo nasce in Tibet. Ha origine, secondo la tradizione, dalla cosiddetta “Bocca del Leone” − Senge Khabab nella lingua locale − una sorgente perenne non lontana dal monte sacro Kailash, posta in un altopiano circondato da montagne, ricoperta di muschio e segnata da una lunga fila di chorten, gli stupa tibetani.

La vetta innevata del monte Kailash
Sullo sfondo, la vetta innevata del monte Kailash – Foto di Eugene Kaspersky CC BY-NC-SA 2.0

Senge Khabab è l’origine assegnata dalla tradizione tibetana, in realtà ci sono affluenti che nascono più distanti dal mare e che pertanto potrebbero essere candidati a “vera” sorgente dell’Indo. Il perché di questa tradizione è spiegato da Alice Albinia nel suo libro Imperi dell’Indo. Sven Hedin (1865 – 1952), esploratore e scrittore del ventesimo secolo che ha ispirato moderni pionieri come Reinhold Messner, venne a sapere dalla sua guida tibetana che il Senge Khabab dava sempre la stessa quantità d’acqua, mentre gli altri affluenti avevano un regime torrentizio, con una portata fortemente influenzata dallo scioglimento annuale delle nevi. Il Senge Khabab sarebbe stato eletto a sorgente in virtù del suo regime stabile e non stagionale.

Il fiume Indo nel Gilgit-Baltistan (Pakistan)
Il fiume Indo nel Gilgit-Baltistan (Pakistan) – Furqanlw, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Dal Tibet l’Indo scorre poi in Ladakh (India) e nel Gilgit-Baltistan (Pakistan), appena a sud della catena del Karakorum. Da qui il suo percorso in direzione nord-ovest cambia bruscamente direzione, spingendosi verso sud-ovest,nelle pianure e nei deserti pakistani, dove beneficia degli apporti idrici del fiume Kabul e dei cinque affluenti del Punjab[1]. Insieme alle sorgenti tibetane e all’apporto idrico dei monsoni, gli affluenti contribuiscono ad alimentare l’Indo[2] e a farlo arrivare sempre più ampio fino al mare Arabico, in corrispondenza del quale forma un vasto delta fluviale.

Il precario stato di salute dell’Indo

3180 kilometri di lunghezza, una portata media oltre il doppio di quella del Nilo, un bacino idrografico di più di un milione di chilometri quadrati, oltre tre volte la superficie dell’Italia. Date queste premesse, difficile pensare che l’Indo non sia in buono stato di salute.

L'ampio bacino idrografico del fiume Indo
La mappa mostra l’ampio bacino idrografico dell’Indo – Kmhkmh, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

Dighe, sbarramenti e cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova il più lungo fiume del subcontinente indiano.

Le dighe dell’Indo e dei suoi affluenti

L’Indo è un fiume nauseabondo e sconcertante.

John Wood, 1836

Nel 1836 la Compagnia delle Indie Orientali aveva in progetto di realizzare una fabbrica di battelli a vapore in grado di navigare il fiume Indo, ma il tenente scozzese John Wood era di tutt’altra opinione. Secondo lui, il progetto era adatto a corsi d’acqua a portata costante, ma irrealizzabile sull’Indo, in secca durante l’autunno e in piena nei mesi primaverili. Incuranti di questi moniti, gli inglesi tentarono di dare via a progetti di trasporti e commerci lungo il fiume, ma alla fine si arresero all’evidenza: la natura mutevole dell’Indo e le sue secche rendevano il trasporto fluviale costoso e poco sicuro.

L’Indo vinse così la sua prima battaglia, ribellandosi a chi voleva solcare le sue acque infide e perigliose, ma questa sua indole ne segnò il destino successivo. Gli inglesi conoscevano la fertilità della valle dell’Indo e, non potendo sfruttare il fiume per la navigazione, iniziarono a costruire sbarramenti per irrigare vasti territori, renderli coltivabili e aumentarne la produzione.  Iniziarono con quattro dei cinque fiumi del Punjab, ma poi venne la volta dell’Indo con l’inaugurazione, nel 1932, dello sbarramento di Sukkur, dando vita a quella che è tutt’oggi la più grande rete di irrigazione del suo genere al mondo[3].

Lo sbarramento di Sukkur, sul fiume Indo
Un breve tratto dello sbarramento di Sukkur – Ashahid83, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Il 1947 segnò la fine dell’impero coloniale britannico nel subcontinente indiano e l’inizio della Partizione dell’ex impero in due stati indipendenti, l’India e il Pakistan. L’Indo scorre per la maggior parte in territorio pakistano e negli anni successivi alla Partizione la nuova nazione continuò il lavoro iniziato dagli inglesi, costruendo a sua volta nuove dighe lungo il fiume. Ulteriori sbarramenti sono stati realizzati lungo gli affluenti in Pakistan, ma anche in India, come la diga di Bhakra lungo il fiume Sutlej ultimata nel 1963, e la diga di Kishanganga nel 2018[4].

Qui sotto trovate una mappa delle dighe (in verde) e degli sbarramenti (in blu) costruiti sul fiume Indo, in Pakistan, India e Cina, incluse due dighe attualmente in costruzione (contrassegnate da un’icona marrone).

Alice Albinia, mentre nel 2006 cercava di risalire il corso dell’Indo fino alla sorgente, in territorio cinese si imbatté in una grande diga di cui non era a conoscenza, costruita nel primo decennio degli anni duemila e che di fatto bloccava l’Indo (Senge Zangbu in lingua locale) già in Tibet. È la diga che vedete nella mappa qui sotto:

Attualmente, sono in fase di realizzazione altre due dighe, di cui una nel Gilgit-Baltistan, Pakistan settentrionale. Una volta completata, la diga Diamer-Bhasha avrà una potenza di 4800 megawatt ed è costruita congiuntamente da un’impresa statale cinese e da un’entità commerciale dell’esercito pakistano.

Gli effetti delle dighe sul fiume

Il risultato di tutto questo è un fiume non più libero di scorrere in maniera naturale verso il mare, che somiglia sempre più a un canale. E non solo: danni per la biodiversità, pericolo per specie sensibili come il delfino dell’Indo, conseguenze legate all’agricoltura intensiva, all’uso di pesticidi e alla non sempre efficiente gestione delle acque.

L'imponente sbarramento di Kotri, provincia del Sindh (Pakistan)
L’imponente sbarramento di Kotri, provincia del Sindh (Pakistan) – Foto di Salman Siddiqui CC BY-NC-ND 2.0

Gli effetti più evidenti delle dighe si vedono nella parte finale del fiume e nel delta. Già nel 1958, in seguito alla costruzione dello sbarramento di Kotri, il delta dell’Indo è passato da un’estensione di 3500 chilometri quadrati a soli 250[5]. Le sue acque scorrono con fatica verso il mare e più in generale tutto il tratto a valle dello sbarramento di Kotri (nei pressi di Hyderabad) ha subito una drastica riduzione del flusso, come si può vedere dalla mappa qui sotto (cliccate sulla freccia per rimuovere il menù).

Il corso dell’Indo a sud di Hyderabad è in rosso sulla mappa e questo significa che ha subito un’ampia riduzione della portata. Le aree verdi che si vedono nei dintorni sono presumibilmente aree coltivate grazie all’irrigazione e al prelievo delle acque dall’Indo.

Il futuro dell’Indo

Il futuro dell’Indo è condizionato dalle dighe, dagli sbarramenti, ma anche dal clima. Uno studio pubblicato su Nature offre una panoramica delle problematiche del fiume, tra attività umane e cambiamenti climatici. La vita di quasi 300 milioni di persone dipende dall’Indo e dai sui affluenti, ma il fiume per dieci mesi all’anno si prosciuga prima di arrivare al mare. La richiesta di acqua da parte delle popolazioni umane crescerà del 30% entro il 2025 – lo studio è del 2016 – e non si hanno certezze su come evolverà lo scioglimento dei ghiacci, che hanno un contributo decisivo nel determinare la portata dell’Indo.

Il fiume Indo nel distretto di Skardu (Pakistan)
L’Indo nei pressi del Central Karakoram National Park (Pakistan) – Foto di Muzaffar Bukhari CC BY-NC-SA 2.0

Un bel reportage del National Geographic cita uno studio secondo cui, a causa dell’accelerato scioglimento dei ghiacciai, la portata dell’Indo aumenterà raggiungendo il suo picco nel 2050, per poi inevitabilmente diminuire se le temperature continueranno a crescere. Ma il già citato studio di Nature apre a un’altra possibilità. A quanto pare, in parte del bacino idrografico dell’Indo e dei suoi affluenti sono state registrate diminuzioni delle temperature estive: poiché lo scioglimento della neve e dei ghiacciai contribuisce per oltre il 50% al flusso del fiume in quei bacini idrografici, è possibile che le estati più fredde determinino uno scioglimento minore dei ghiacci e di conseguenza un restringimento del fiume. Questo sarebbe tra l’altro coerente con la cosiddetta anomalia del Karakorum[6] dove, in controtendenza al riscaldamento globale, i ghiacciai stanno crescendo.

L’Indo, il Pakistan e l’irrigazione

La vita di quasi trecento milioni di persone è supportata dall’Indo e dai suoi affluenti e, nel solo Pakistan, nel 2008 ben 210.000 chilometri quadrati di colture (una superficie pari a due terzi dell’Italia) erano dipendenti dall’irrigazione. Il prelievo totale di acqua nel bacino del fiume Indo è stimato a 299 chilometri cubi; di questi il 63% è prelevato dal Pakistan e il 93% è utilizzato per l’irrigazione (dati FAO[7]).

L’irrigazione è resa possibile da sbarramenti come quelli di Sukkur e di Guddu, entrambi nella provincia pakistana del Sindh, progettati per controllare il flusso d’acqua e ridurre il rischio di inondazioni; allo stesso tempo, lo sbarramento supporta l’irrigazione immagazzinando l’acqua durante tutto l’anno e rendendola disponibile anche nei periodi di minore afflusso.

Campo di riso nel Punjab (Pakistan), coltivato nella stagione kharif grazie all'irrigazione
Campo di riso nel Punjab (Pakistan), coltivato nella stagione kharif – Msalmansarfraz, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Il Pakistan ha fondamentalmente due stagioni colturali, con cotone e riso coltivati da maggio a settembre (stagione Kharif) e grano da novembre a maggio (stagione Rabi). Due stagioni che riflettono l’andamento delle piogge e della portata dell’Indo. In seguito allo scioglimento primaverile delle nevi, a giugno il flusso dell’Indo inizia ad aumentare; il sole dei mesi estivi scioglie la neve e riscalda le superfici, attirando aria umida dall’Oceano Indiano che viene bloccata dall’Himalaya. Hanno così origine i monsoni e tra luglio e settembre il Pakistan riceve il 70% delle sue precipitazioni, mentre l’Indo raggiunge il massimo della sua portata. Ed è così che tra luglio e agosto vengono distribuite grandi quantità di acqua nei campi, in particolare per colture come il riso.

In tutto questo, il grande protagonista è il paesaggio, che cambia notevolmente da aprile, quando nei campi domina il giallo dorato del grano o di altre colture invernali, a settembre, con il terreno inondato di acqua e colorato dal verde lussureggiante del riso o di altre colture Kharif. Le due immagini qui sotto del Nasa Earth Observatory mostrano lo spettacolare cambiamento che avviene tra aprile e settembre nei pressi dello sbarramento di Guddu:


Dalle immagini satellitari si intuiscono gli effetti e l’importanza dell’irrigazione, si assiste a una interessante integrazione tra colture umane e fenomeni naturali: il fiume Indo, le montagne himalayane, le nevi, i ghiacci, il sole e i monsoni. Un’integrazione che è tuttavia fragilissima a causa dell’eccessivo sfruttamento del fiume e di una gestione delle acque che fa letteralmente acqua da tutte le parti. Questa mappa realizzata dal National Geographic mostra come il Pakistan sia, tra i paesi presi in esame, quello con il più alto stress idrico (preleva troppa acqua da fiumi e falde) e con la più bassa produttività dell’acqua, ottiene cioè poco valore economico dall’acqua usata. In altri termini, il paese necessita di un sistema più efficiente per ridurre gli sprechi d’acqua e ottenere una maggiore produttività, salvaguardando l’Indo, i suoi ecosistemi e le popolazioni che sostiene.

Un libro sul fiume Indo

In questo viaggio digitale lungo il fiume Indo e la sua valle mi ha fatto da guida il libro Imperi dell’Indo, di Alice Albinia, giornalista e scrittrice inglese che tra il 2005 e il 2006 ha risalito il corso del fiume. Ha iniziato il percorso da Karachi, la più grande città del Pakistan, affacciata sul mare Arabico, si è inoltrata quindi nel delta per poi arrivare, dopo mesi di viaggio, fino alla sorgente, in Tibet. Ha incontrato persone di lingue e popoli diversi, si è spinta fino in Afghanistan, ha dovuto fare deviazioni impreviste, ha visitato i luoghi di Alessandro Magno e, non distante dalla sorgente, ha visto con i suoi occhi antichissimi e misteriosi cerchi di pietra che rischiano di scomparire.

Imperi dell’Indo. La storia di un fiume
Alice Albinia

Imperi dell’Indo oscilla tra il reportage, il libro di viaggio e il saggio storico. Un viaggio tra popoli antichi e moderni, religioni, imperi, meraviglie archeologiche e ambienti naturali, ma anche tra le difficoltà che l’Indo sta affrontando con la civiltà contemporanea.

Immagini della valle dell’Indo. Suggestioni di viaggio

Confluenza tra fiume Indo (in basso) e Zanskar. Ladakh, India.
Confluenza tra il fiume Indo (in basso) e lo Zanskar. Ladakh, India.
Monastero di Stakna e fiume Indo. Ladakh, India
Monastero di Stakna e fiume Indo. Ladakh, India. – Foto di Matt Werner CC BY-NC-SA 2.0
Il sito archeologico di Mohenjo-daro, nei pressi dell'Indo
Il sito archeologico di Mohenjo-daro, nei pressi dell’Indo – Foto di Benny Lin CC BY-NC 2.0
Coltivazioni e piantagioni nel periodo umido. Sindh, Pakistan.
Coltivazioni e piantagioni nel periodo umido. Sindh, Pakistan.
La campagna nel periodo secco. Sindh, Pakistan.
La campagna nel periodo secco. Sindh, Pakistan.
Lansdowne Bridge, ponte sull'Indo tra le città di Sukkur e Rohri, completato nel 1889
Lansdowne Bridge, ponte sull’Indo tra le città di Sukkur e Rohri, completato nel 1889. Sindh, Pakistan.

Note

1 Il Punjab è una regione pakistana il cui nome significa “terra dei cinque fiumi”.

2 L’Indo raccoglie il grosso della sua portata idrica lungo il tratto superiore del suo corso – nel Tibet (Cina), nel Ladakh (India settentrionale) e nel Gilgit-Baltistan (Pakistan settentrionale) – più che per l’apporto degli affluenti himalayani che riceve nel Punjab.

3 Sukkur Barrage, Wikipedia the free encyclopedia, 14/12/2020, da https://en.wikipedia.org/wiki/Sukkur_Barrage

4 Il Kishanganga è un affluente del Jhelum, uno dei “cinque fiumi” del Punjab.

5 Albinia A., Imperi dell’Indo, Adelphi, 2013

6 Per approfondire l’anomalia del Karakorum: https://www.nature.com/articles/s41561-019-0513-5, consultato il 14/12/2020

7 Fonte dati FAO: http://www.fao.org/nr/water/aquastat/basins/indus/indus-cp_eng.pdf, consultato il 14/12/2020

Immagine di copertina: Simran Kalsi, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons. La foto è stata scattata vicino al passo Chang La, dove l’Indo attraversa il confine tra Cina e India.

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