In questo articolo ho deciso di narrare, sotto forma di racconto, il viaggio e la vita delle anguille. È la storia di una migrazione dal mar dei Sargassi, dove un’anguilla nasce per poi viaggiare verso le coste europee. L’eroe del racconto, un’anguilla maschio senza nome, seguirà il suo istinto per viaggiare e la sua natura per svilupparsi e passare attraverso le varie fasi del ciclo vitale. A salvarlo, sarà un incontro fondamentale.
Prima di lasciarvi al racconto, vi riporto un’immagine disegnata da Matteo Lucarelli e pubblicata sul sito del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa. Nella sua chiarezza, ci aiuterà a capire alcune parti del racconto. L’anguilla protagonista, sviluppatasi da un uovo, nei suoi primi ricordi ha un corpo a forma di foglia di salice: è nella fase di leptocefalo, come si vede nella grafica sotto.

Oltre a ringraziare il museo per aver consentito all’uso dell’immagine sopra, ci tengo a condividere la lettura che mi ha ispirato il racconto: Nel segno dell’anguilla, di Patrik Svensson. Un libro per tutte le persone appassionate di natura, che intreccia divulgazione, narrazione e storie di vita personale per raccontare un animale straordinario, in serio pericolo di estinzione.
E adesso vi lascio al racconto: buona lettura.
L’istinto del ritorno: il viaggio di un’anguilla
Mi volto a osservare i miei compagni di viaggio. Un’armonia di corpi che puntano in una sola direzione, cuori che pulsano dello stesso fuoco. Il nostro desiderio segnerà la nostra fine, perché senza morte non c’è rinascita.
Il viaggio è stato mio compagno di vita. Nei miei primi e confusi ricordi sono cullato dalla corrente oceanica, trascinato verso le coste dell’Europa con migliaia di altre larve. Eravamo ancora piccoli e ignari. Non c’era nessuno a indicarci la via e ogni istante era una scoperta, essenziale e dolorosa. Ci nutrivamo di diatomee e minuscoli crostacei che fluttuavano nelle acque oceaniche, e a nostra volta eravamo cibo. Migliaia di miei compagni sono scomparsi così, inghiottiti da pesci nel profondo dell’oceano. La vita era appesa a un filo, diafano come i nostri piccoli corpi a foglia di salice.
Altre separazioni sono state meno traumatiche, ma altrettanto definitive. Avvicinandosi al continente, alcuni compagni di viaggio si sono fermati lungo le coste lusitane, altri hanno puntato a nord verso luoghi freschi e leggendari come la Scania. Eravamo cresciuti, non più larve ma cieche: anguille sì, eppure in miniatura e trasparenti. I nostri corpi avevano acquisito forza propria. Non dovevamo più affidarci alla corrente: eravamo padroni del nostro destino e pieni di ambizioni.
Seguii un gruppo di cieche dirette verso uno stretto tra Europa e Africa. Entrammo in un caldo mare interno e cominciai ad avvertire qualcosa di familiare.
Arrivata la primavera, mi fermai in un vasto lago salmastro. Dopo migliaia di chilometri e oltre un anno di viaggio, ero nelle Valli di Comacchio.

*** Le Valli di Comacchio ***
Quell’enorme laguna era l’ideale per riposarmi, nutrirmi e sentirmi protetto nelle sue acque ferme. Mi venne in mente la parola casa, qualsiasi cosa volesse dire.
Nelle valli avvenne la mia terza trasformazione. Dopo essere passato attraverso gli stadi di larva e cieca, diventai un’anguilla gialla. Avevo le dimensioni di un adulto, ma non ero ancora maturo. Non potendo avere figli, dovevo pensare solo a nutrirmi e sopravvivere.
Con entusiasmo giovanile, esploravo ogni angolo delle valli e trovavo cibi deliziosi: piccoli crostacei e molluschi, vermi, uova di pesce e persino larve di insetto, che mai avevo assaggiato nel mio viaggio in mare. La laguna offriva tutto quello che mi serviva e non percepivo pericoli all’orizzonte.

*** Un incontro ***
Un giorno d’autunno mi trovai di fronte a un piccolo verme che fluttuava nell’acqua. Non ero affamato, ma mi avvicinai incuriosito: come faceva a rimanere lì sospeso? Doveva andare a fondo, o allontanarsi con la corrente.
− Vuoi finire grigliato?
Mi girai di scatto. Una grossa anguilla femmina dal ventre argentato mi fissava. Sarà stata il doppio di me.
− O preferisci marinato? – fece lei –. Scegli tu.
Pareva divertirsi. Le molecole che rilasciava mi dicevano questo.
− Quel verme è un’esca –, continuò.
− Esca?
− Se provi a mangiarlo, un pezzo di metallo ti si conficcherà in bocca e ti trascinerà fuori dall’acqua.
Sembrava straziante. Gonfiai il petto e mi finsi coraggioso.
− Il dolore non mi fa paura – dissi −. E poi sono già stato sull’erba, noi anguille ci resistiamo a lungo. Non lo sapevi?
Mi arrivò alle narici un gran flusso di molecole: ironia, scherno e persino un po’ di tenerezza. Non ci capivo nulla.
− Sull’erba ci troverai una sorpresa: uno o più uomini che ti cattureranno – disse −. Li chiamano pescatori.
− E poi? −, chiesi incredulo.
− E poi ti uccidono, ti spellano e ti cucinano. Fai una brutta fine, ma per molti di loro è una delizia. Vanno ghiotti per la nostra carne.
Rabbrividii. Il luogo che ritenevo un rifugio sicuro era diventato insidioso. Fino ad allora, gli esseri umani erano stati un enigma, creature di cui avevo solo sentito parlare in sussurri tra le onde. La loro presenza diventò così un’ombra che si allungava sul mio futuro, una minaccia silenziosa che dovevo conoscere se volevo sperare di sopravvivere. Non potevo sperare che ci fosse sempre qualcuno a salvarmi da un’esca.
− Come sai tutto questo?
− Ho vissuto abbastanza a lungo – mi rispose −. Quando ero un’anguilla gialla ho risalito un fiume, fin quasi agli Appennini. Ho conosciuto altre anguille e alcune di loro sono state strappate dall’acqua dopo aver mangiato uno di quei vermi fluttuanti. Molte lo sapevano, ma la fame fa dimenticare tutto. Sono stata fortunata, devo ammetterlo.
Non avevo mai ascoltato niente del genere. Avrei voluto chiederle l’età, ma decisi di non interromperla.
− Ho vissuto per undici anni in quel fiume, – continuò − poi il mio dorso si è fatto bruno, il ventre argentato, il mio corpo è cambiato. Ho avvertito l’impulso di tornare in mare e la corrente mi ha portata qui.
Mentre riflettevo sul suo racconto mi resi conto di non aver mai avuto voglia di risalire fiumi e correnti.
− Penso che resterò nella valle, − dissi − qui ho cibo in abbondanza.
− È una scelta comune tra i maschi – fece lei – di solito siamo noi femmine a inoltrarci nelle acque interne. Segui il tuo istinto. Se ti dice questo, fai bene a restare.
Nel frattempo l’esca era scomparsa. Forse un altro pesce aveva abboccato. La femmina sembrava preoccupata. Chiesi:
− Stai per lasciare le valli?
Annuì pensierosa. Poi aggiunse:
− Temo di non farcela. Per uscire bisogna attraversare trappole e passaggi obbligati. Così finiamo quasi sempre dove vogliono gli uomini.
Esitò un attimo, poi mi salutò:
− Addio. Buona fortuna.
Ricambiai il saluto e la guardai allontanarsi. Qualunque fosse stato il suo destino, era sulla via del tramonto. Le augurai di realizzare il sogno di ogni anguilla: ritornare nel mar dei Sargassi.
Pensai a lungo a quell’incontro. Prima o poi, anch’io avrei dovuto attraversare trappole e barriere. Non c’era altra via di uscita.

*** Il ragazzino ***
Un giorno fui catturato da un ragazzino che pescava nelle valli. Gli bastò un retino per farmi prigioniero. Mi chiedevo se sarei finito alla griglia o marinato, ma quel giovane era diverso dagli altri.
Mi portò in una rimessa, dove faceva i suoi esperimenti. Allevava rane, tartarughe, raccoglieva rocce ed essiccava piante. Mi mise in un acquario e restai lì per una ventina d’anni. In tutto quel tempo ho imparato tante cose dagli umani e ben presto capii perché mi trovavo lì. Quel giovane aveva letto di Putte, l’anguilla vissuta per ottantotto anni in cattività. Voleva scoprire se la storia era vera e io ero la sua cavia.
Il tempo passava e io restavo un’anguilla gialla. Se non siamo in condizione di viaggiare, noi anguille non maturiamo. Viviamo una lunga adolescenza, che può durare all’infinito.
Il ragazzino invece divenne adulto e arrivò il giorno in cui dovette lasciare casa. Il giorno del trasloco, nella confusione, ci fu un momento in cui l’acquario rimase scoperto. Pensai alla femmina dal ventre d’argento. «Segui il tuo istinto», mi aveva detto. Non ci pensai due volte, sgusciai fuori e strisciai più veloce che potevo.
Avvertii l’odore di un torrente. Non sembrava lontano, ma negli anni vissuti nell’acquario i miei muscoli si erano atrofizzati. Quando lo raggiunsi, la notte era fonda e mi tuffai nel buio dell’acqua. Mi sentivo vivo e libero. Era una sensazione che avevo dimenticato da tempo.
Passati pochi giorni, il mio corpo aveva recuperato le forze. Mangiavo con voracità e una smania si era impossessata di me.
Seguivo il corso del torrente. Il letto si allargava, le acque si calmavano e il mio corpo cambiava forma. Il dorso più scuro, la pelle più spessa, il ventre argentato: ero un’anguilla matura, un’argentina.
Il torrente infine sfociò in mare. I miei istinti più atavici si ridestarono e la mia bussola naturale indicava una direzione conosciuta: il mar dei Sargassi.

*** L’istinto del ritorno ***
Con i miei compagni di viaggio ho appena superato le isole Azzorre. L’obiettivo è ancora lontano, ma non c’è ha fretta. Il tempo scorre uniforme: giorno e notte non esistono. La luce del sole non penetra a questa profondità e l’unica cosa che devo fare è seguire il mio istinto. Quel che mi aspetta, rimane un mistero.
So solo che noi anguille andiamo a riprodurci nel mar dei Sargassi e lì moriamo. Nemmeno gli uomini sanno di preciso cosa succede laggiù: nessuno di loro ha mai osservato un’anguilla adulta in quella parte di oceano. È curioso, per una specie che è andata sulla Luna, su Marte ed è atterrata su una cometa.
La mia fine è vicina. Nell’acquario avrei potuto vivere altri cent’anni, ma non ho rimpianti. È nel ritorno che diamo un senso al nostro viaggio. Questo, almeno, è quel che mi dice l’istinto.