L’immagine che apre l’articolo è tratta da un volume di geografia per bambini pubblicato a partire dal 1830 negli Stati Uniti. A occuparsi delle illustrazioni Emma Willard, insegnante e attivista per i diritti delle donne: instancabile sostenitrice dell’apprendimento come strumento di emancipazione. La datazione adottata dalla Willard è un classico esempio della cronologia ufficiale dell’età della Terra, impiegata per oltre quattrocento anni nel moderno mondo occidentale.
Fu stabilita nella seconda metà del XVI secolo da James Ussher, arcivescovo di Armagh, nell’attuale Irlanda del Nord che calcolò il giorno della Creazione nel 23 ottobre del 4004: era di domenica, poco dopo il tramonto. La faccenda, per quanto assurda possa apparire oggi, ha rappresentato per secoli un ostacolo insormontabile per chiunque avesse l’avventatezza di affermare il contrario. Lo stesso Isaac Newton non si sottrasse alla tentazione di mettere il becco nella questione, ricalibrando i millenni in un più preciso 4000. Avanti Cristo, s’intende.

A dire il vero non è che ci fosse così tanto bisogno di tempo in più da aggiungere alla Creazione. Alle domande sull’origine dei fossili era possibile rispondere con il Diluvio Universale; e quando ci si interrogava sul perché Dio, nella sua infinità bontà, avesse deciso di sterminare così tanti animali, beh, in questo caso si faceva ricorso a interpretazioni che ressero, senza troppi scossoni, fino a Ottocento inoltrato.
A questo punto, però, la nuova scienza della geologia si era già messa in moto, suggerendo che i tempi reali non coincidessero con quelli biblici, ma fossero infinitamente più estesi. L’uomo da cui scaturì l’intuizione di questa vertiginosa profondità temporale fu James Hutton: gentiluomo scozzese, prudente e curioso osservatore della sua terra. Un genio a cui Charles Darwin fu debitore e a cui lo scrittore John Macphee attribuisce la scoperta del deeptime, quel tempo profondo che solo può spiegare l’origine del nostro pianeta e dell’intero universo.
James Hutton gentiluomo di campagna
Nasce a Edimburgo nel 1726. Orfano di padre a tre anni. Corsi in materie umanistiche e successivo apprendistato in uno studio legale. Poco interessato a proseguire il lavoro, non per pigrizia, ma per una inesauribile curiosità nella filosofia naturale, si interesserà di chimica e medicina. A diciotto anni diventa assistente medico, nel frattempo prosegue la sua formazione accademica all’Università di Edimburgo. Del 1747 il suo trasferimento a Parigi per continuare gli studi. Due anni dopo all’Università di Leiden (Paesi Bassi) consegue il titolo di Dottore in Medicina con una tesi sulla circolazione sanguigna. Al suo ritorno in Scozia, il trasferimento nella tenuta di famiglia a Slighhouses, nel Berwickshire, dove avrà l’opportunità, tra lo scavo di un canale, l’allevamento di animali e la coltivazione di piante, di osservare da vicino quei processi naturali che tanto lo appassionavano. Un acuto osservatore del mondo che lo circonda.

Non meno incuriosito dei processi chimici che ne stavano alla base, al suo ritorno a Edimburgo avvierà insieme all’amico John Davie la produzione di sale d’ammonio con un innovativo procedimento di estrazione dalla fuliggine del carbone inventato da lui. Impresa piuttosto redditizia che gli garantirà una notevole ricchezza. Per comprendere il successo dell’invenzione, nella realtà economica del tempo, vale la pena ricordare che i sali d’ammonio, impiegati in campo cosmetico, medico e metallurgico, erano disponibili solo da fonti naturali, estremamente costose, provenienti dall’Egitto o dall’estremo oriente.
Attivamente inserito nel clima culturale dell’Illuminismo scozzese di metà settecento, parteciperà alle riunioni del neonato Oyster Club di Edimburgo. Tra una pinta di birra, chiacchiere intellettuali e un piatto di ostriche gli incontri settimanali vedono la partecipazione delle più grandi menti del tempo. Tra i tanti: il filosofo David Hume, l’economista Adam Smith e il matematico John Playfair. Quest’ultimo amico di Hutton e primo divulgatore delle sue idee.

A proposito di queste e dell’importanza che avranno nella futura storia delle geologia e dell’intero pensiero occidentale, conviene lasciare la città e seguire James Hutton nei suoi vagabondaggi nella campagna scozzese.
A caccia di prove
La prima località dove compie le sue osservazioni geologiche è la remota valle di Glen Tilt, un centinaio di chilometri a nord di Edimburgo, nelle Highlands scozzesi. Qui, nell’estate del 1785, individua lungo il corso del fiume Tilt degli scisti metamorfici con intrusioni di granito rosa. L’osservazione empirica che ne deriva, con un notevole grado di inferenza, è che al momento della penetrazione all’interno delle roccia, il granito debba essersi trovato a uno stato liquido e quello che vediamo oggi non è altro che il risultato di un fusione prima e di un successivo processo di raffreddamento avvenuti in tempi remoti. La questione del tempo, come vedremo, sarà cruciale per Hutton e per tutti i geologi a seguire fino all’inizio del Novecento.

Nello stesso anno e molto più vicino a casa rispetto al viaggio precedente, compie osservazioni sulla collina di Arthur’s Seat, giusto un miglio a sud-est di Edimburgo. L’area, oggi parte dell’Holyrood Park, gli consente di approfondire i propri studi sui diversi tipi di rocce, adottando una distinzione tra rocce ignee e metamorfiche valida ancora oggi. Non le chiamò così, ma l’intuizione era azzeccata. Stabilì che le prime dovessero avere avuto origine per raffreddamento di materiale fuso, come quelle di Glen Tilt, mentre per le altre valutò che fossero il risultato della deposizione di sedimenti nel corso del tempo. Tanto tempo.

L’anno successivo proseguì le ricerche geologiche nel Galloway e nell’estate del 1787 sull’isola di Arran, nella Scozia occidentale, dove trovò ulteriori conferme alle osservazioni fatte in precedenza. Il viaggio ad Arran fu un evento importante, perché consentì ad Hutton di osservare con i propri occhi una stratificazione sedimentaria definita con il termine di non conformità. La ragione di tanto interesse era motivata dagli studi compiuti dal danese Niels Stensen un secolo prima e da Horace-Bénédict de Saussure nei suoi viaggi alpini a partire dal 1773. L’intenzione del naturalista scozzese era di studiare da vicino esempi significativi di non conformità, cosa che gli riuscì, qualche mese più tardi, nella località di Jedeburgh, un centinaio di chilometri a sud di Edimburgo.

Le non conformità osservate ad Arran, Jedeburgh e successivamente nel Teviotdale, al confine con l’Inghilterra, vennero interpretate da Hutton come prove dell’incessante lavoro erosivo delle forze naturali e del sollevamento delle rocce marine a opera di una forza che ha per principio il calore sotterraneo[1]. La sovrapposizione stratigrafica secondo piani verticali e orizzontali, caratteristica di queste stratificazioni geologiche, fu una delle sue maggiori scoperte e si inserì nella feroce diatriba intellettuale dell’epoca tra nettunisti e plutonisti.
I primi postulavano l’esistenza di un gigantesco oceano primitivo (da qui il riferimento al dio Nettuno), con una terra di piccole dimensioni circondata dalle acque. Il progressivo abbassamento di questo mare ancestrale avrebbe consentito l’emersione di nuove terre e la deposizione dei sedimenti sulla crosta terrestre. Ecco spiegata l’origine dei fossili trovati sulle montagne; più difficile ribattere alle obiezioni fatte dai plutonisti, tra i quali si riconosceva lo stesso Hutton, su dove fosse andata a finire tutta quell’acqua dopo il suo ritiro.
Per quanto oziosa possa apparire oggi la questione, tra Settecento e gli inizi dell’Ottocento, la diatriba tra i due schieramenti fu più simile a una guerra che a un pacato confronto intellettuale.
Ma intanto James Hutton, fedele al plutonismo e all’azione del calore sotterraneo (Plutous era infatti una divinità ctonia) come forza trasformativa della crosta terrestre, proseguiva nelle sue ricerche che lo avrebbero portato, nell’estate del 1788, lungo la costa orientale della Scozia.

Siccar Point e la discontinuità angolare
La gita geologica del 1788 fu un evento fondamentale nel percorso intellettuale di James Hutton. Fedele al plutonismo e all’idea che il presente è la chiave per spiegare il passato, la sua filosofia si collocava in quella cornice intellettuale che lo storico inglese William Wheel avrebbe definito nel 1832 con il termine di uniformitarismo. Contrario ad ammettere catastrofi bibliche ed altri eventi estremi, l’impianto teorico elaborato da Hutton prevedeva un’uniformità delle leggi naturali (nel presente quanto nel passato), cambiamenti graduali della geologia terrestre e una proiezione dei processi naturali di erosione e stratificazione lungo tempi infiniti, opposta alla visione biblica della Terra giovane. Per dimostrare questo aveva bisogno di prove: l’immagine in basso fu la migliore che avesse mai trovato.

Come ricorda Maria Bjornerud nel suo libro Il tempo della Terra lo sforzo interpretativo compiuto da Hutton a Siccar Point fu sorprendentemente perspicace[2]. Intuì che le rocce verticali della sezione A (arenaria e scisti del siluriano) avessero fatto parte di un’antica catena montuosa, inclinata dal lento movimento della crosta terrestre, mentre la sezione superiore B (discordanza) era il risultato di un successivo processo di erosione. Le rocce sovrastanti della sezione C (arenaria rossa del devoniano) furono correttamente interpretate come sedimenti accumulatisi nel corso del tempo. La non conformità studiata da Hutton nell’estate del 1788 prende oggi il nome di discordanza angolare e ha rappresentato uno dei momenti più significativi nella storia della geologia.
L’amico e matematico John Playfair che accompagnò Hutton a Siccar Point insieme al geologo James Hall commentò in seguito l’esperienza vissuta nei termini di un vertiginoso sguardo sull’abisso del tempo[3].
Smarcandosi dalla filosofia nettunista che implicava catastrofi naturali come il Diluvio, per spiegare l’origine delle stratificazioni geologiche, James Hutton adottò, in linea con i principi dell’uniformitarismo, un punto di vista empirico e inferenziale. Sulla base delle stime del tasso di erosione della sua terra, collocò il processo necessario alla formazione di Siccar Point in una cornice temporale estremamente lunga, con eventi di accumulo, sollevamento ed erosione, in una lenta e infinita trasformazione. Era nato il tempo profondo. Già, ma quanto profondo?

La teoria della Terra di James Hutton
Le idee accumulate dal naturalista scozzese nel corso delle sue esplorazioni furono presentate per la prima volta in una serie di incontri organizzati dalla Royal Society di Edimburgo tra il marzo e il luglio del 1785. L’esposizione completa della teoria sarà pubblicata tre anni dopo con il titolo di Theory of the Earth; or an Investigation of the Laws observable in the Composition, Dissolution, and Restoration of Land upon the Globe. Il successo del libro fu però ostacolato da un elemento che nulla aveva a che vedere con i suoi contenuti: molto banalmente l’oscurità della prosa e la tortuosità del linguaggio ne impedirono la comprensione. In altre parole James Hutton era un ottimo osservatore, ma un pessimo divulgatore.
In Breve storia di (quasi) tutto l’autore Bill Bryson riconosce Theory of the Earth come un eccellente candidato al titolo di testo scientifico importante meno letto[4]. Un giudizio tutt’altro che parziale se lo stesso John Playfair che aveva seguito Hutton nelle sue esplorazioni, sentirà il bisogno di pubblicare nel 1802 (cinque anni dopo la morte dell’amico) un’esposizione comprensibile della teoria huttoniana. Fu proprio il suo Illustration of the Huttonian Theory of the Earth a raggiungere quel pubblico di intellettuali che avrebbe riconosciuto la rivoluzionaria visione dei cicli geologici proposta dal naturalista scozzese. Una conferma in più di quanto gli amici siano importanti.
Con il tempo tutto sembra avere un senso
Negli anni successivi alla morte di Hutton la traiettoria presa dalla nascente geologia fu tutt’altro che lineare. La vecchia disputa tra nettunisti e plutonisti fu sostituita da nuove contrapposte fazioni. I primi andarono a confluire in quella dei catastrofisti di cui il paleontologo francese Georges Cuvier fu il maggiore rappresentante. Nella seconda si ritrovarono gli uniformitaristi che riconoscevano ad Hutton un enorme debito di gratitudine e che trovarono nel geologo Charles Lyell il loro paladino. L’idea di una Terra giovane, saldamente radicata nella tradizione biblica del creazionismo, si contrapponeva, ancora una volta, alla visione perturbante del tempo profondo, tanto antico da apparire inconcepibile.

Nel suo libro Underland lo scrittore britannico Robert Macfarlane racconta del tempo profondo in una maniera che vale la pena citare per evitare di perdersi qualcosa:
Il tempo profondo è il vertiginoso periodo
di storia terrestre che ci separa
dal momento attuale.
Il tempo profondo viene conteggiato
in unità di misura
che umiliano l’istante umano.
Il tempo profondo è tenuto dalle pietre,
dai ghiacciai,
dalle stalattiti,
dai sedimenti dei fondali marini,
dalla deriva delle placche tettoniche.
Il tempo profondo è spalancato sul futuro
oltre che sul passato.
Dobbiamo a James Hutton l’intuizione di questa vertiginosa profondità, alla quale attinse lo stesso Charles Darwin per la sua teoria dell’evoluzione che non poteva essere misurata con l’età dei profeti, ma con quella delle ere e degli eoni. Fu lui a suggerire la strabiliante antichità di 400milioni di anni nella prima edizione dell’Origine delle Specie. Passo poi eliminato a partire dalla terza per le critiche ricevute.
Alla fine dell’Ottocento Lord Kelvin, genio indiscusso del proprio tempo, avrebbe fatto oscillare l’età della Terra tra i 100 e i 24milioni di anni, con un’autorità di fronte alla quale fu difficile avanzare obiezioni. La ragione di tanta incertezza derivava dall’assenza di validi metodi di calibrazione temporale. Il calcolo del tasso di erosione impiegato da Darwin e dallo stesso Hutton risultava tanto approssimativo quanto impreciso, così come la quantità di sodio contenuta nell’acqua di mare, strada intrapresa dal chimico John Joly (inventore della fotografia a colori) o ipotesi basate sul raffraddamento della Terra e la durata di vita del sole. Queste ultime suggerite dai discepoli di Lord Kelvin. Il circolo vizioso nel quale vagava la neonata scienza geologica trovò all’incrocio tra fisica e chimica una felice via d’uscita. La scoperta del decadimento radioattivo da parte di Ernest Rutherford avrebbe consentito a partire dal 1908 di calcolare l’età delle rocce. La prima in assoluto[5] a entrare ufficialmente nell’anagrafe geologica fu un granito proveniente dalla Norvegia: vecchio di 370milioni di anni. La geologia poteva finalmente contare su analisi quantitative, puntellandolo le ipotesi su risultati affidabili e ripetibili.
La rivoluzione che ne seguì dura ancora oggi.
Biografia del tempo profondo
Robert Macfarlane
Underland. Un viaggio nel tempo profondo
Marcia Bjornerud
Il tempo della terra
Bill Bryson
Breve storia di (quasi) tutto
Davide Manna
La misura del tempo geologico
Giorgio de Santillana, Hertha von Dechend
Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e la struttura del tempo
NOTE
1 M. Tongiorgi, Il nano e i giganti: le idee della geologia tra il ‘700 e il ‘900, Anisn.it, da http://www.anisn.it/matita_ipertesti/geologia2/geologiatra700e900.pdf↵
2 M. Bjornerud, Il tempo della Terra, HOEPLI, 2020↵
3 James Hutton, Wikipedia (en), 30 marzo 2022, da https://en.wikipedia.org/wiki/James_Hutton#Search_for_evidence↵
4 B. Bryson, Breve storia di (quasi) tutto, TEA, 2019↵
5 M. Bjornerud, Il tempo della terra↵