Mi piace credere che i luoghi abbandonati conservino una loro memoria. A dispetto dell’assenza di persone a testimoniarne la storia, voglio credere che le suggestioni esercitate da queste isole non siano solo frutto della fantasia, ma il modo in cui certi luoghi comunicano con noi. Spesso le tracce sono facili da interpretare. Il perimetro in pietra di una fortificazione, le finestre protette da sbarre di un’antica prigione, suggeriscono in maniera inequivocabile il passato di queste isole abbandonate. Ancora più di frequente sono le storie di spettri e oscure presenze a sovrapporsi alla realtà storica, creando percorsi tanto suggestivi quanto inquietanti. Eppure, anche in questi casi, le leggende non si discostano mai troppo dalla verità. Anzi, sono proprio loro a tenerne vivo il ricordo.

Le ragioni dell’abbandono hanno quasi sempre a che fare con una perdita della loro funzione: sanitaria, economica o contenitiva che fosse. Le persone scompaiono lasciandosi dietro le testimonianze delle loro attività e quello che resta sono macerie, ma così potenti da spingere più di un visitatore ad avventurarsi in questi luoghi abbandonati. Chiedersi come facessero a lavorare, studiare, concepire sogni e figli sopra l’isola industriale di Hashima è una domanda banale, ma che difficilmente potrà essere evitata. Domandarsi come poteva essere la vita nel lebbrosario dell’isola di Spinalonga implica una riflessione più ampia sul modo di trattare i malati e la malattia. Gli eventi sull’isola disabitata di Clipperton sono una testimonianza di quanto le relazioni umane possano essere assurde e tragiche perfino in uno sperduto atollo dell’oceano Pacifico.

Sono solo storie di isole abbandonate dagli esseri umani, ma che fino a non troppi decenni fa, brulicavano di una vita intensa e feroce. E se ci concediamo il tempo di restare in silenzio, tra il rumore del vento e quello delle onde, state pur certi che questi luoghi avranno parecchio da raccontarci.
Spinalonga – Isola di Creta (Grecia)
La prima vita di Spinalonga ha a che vedere con la sua posizione: punto strategico nel mar Egeo, affacciato sul golfo di Mirabello, lungo la costa orientale dell’isola di Creta. Avamposto greco fin dall’antichità, a protezione del ricco porto di Elounda, conobbe successivamente un periodo di decadenza fino all’arrivo dei veneziani nel XVI secolo. A difesa dei propri interessi nel Mediterraneo innalzarono le mura perimetrali, ancora oggi visibili, e un’imponente fortezza. Entrambe passeranno di mano ai turchi nel 1669 con l’invasione ottomana dell’isola di Creta. Nella seconda metà del XIX secolo, sarà la volta dei greci che si riapproprieranno dell’isola scacciando i turchi e anticipando così la seconda vita di Spinalonga.

Nel 1901 il governo di Creta decide di istituire una colonia sanitaria per i malati di lebbra. La scelta ricade sull’isola abbandonata di Spinalonga: mura possenti, relativa vicinanza alla terraferma e isolamento garantito. I primi malati arriveranno nel marzo del 1903. Quattrocento persone che aumenteranno progressivamente nel tempo fino a raggiungere una popolazione di qualche migliaio di abitanti. Tra loro donne, uomini e bambini nati sull’isola e parte della comunità di lebbrosi. Ad accrescere la popolazione contribuiscono gli arrivi di prigionieri politici e altri greci invisi al regime. Un’istituzione totalizzante, spacciata per modello sanitario dal governo greco, che sopravviverà, tra le crescenti proteste internazionali[1], fino al 1957 quando gli ultimi venti abitanti di Spinalonga raggiungeranno la terraferma e il lebbrosario sarà definitivamente chiuso.

La terza vita di Spinalonga inizia in punta di piedi. Il primo a essere attratto dalle sue atmosfere è un giovane Werner Herzog che nel 1967 gira sull’isola abbandonata il cortometraggio (lo trovate qui) Ultime parole. La storia è quella di un suonatore di cetra, ultimo abitante di Spinalonga, obbligato con la forza dalla polizia a lasciare la sua isola. Per oltre quarant’anni, complice il tentativo di damnatio memoriae da parte del governo greco, la storia dell’isola dei lebbrosi sarà un rimosso nazionale. A dare uno scossone alla memoria contribuirà nel 2007 il romanzo The Island di Victoria Hislop, bestseller internazionale, ne verrà fuori anche un adattamento seriale, che riporta a galla le terribili vicende del lebbrosario di Spinalonga in una saga familiare intessuta nella storia della Grecia contemporanea.

Oggi Spinalonga, dopo la messa in sicurezza degli edifici e il potenziamento dei traghetti per raggiungerne il piccolo pontile, è una meta turistica che incanta per la sua splendida posizione, turbando molto più di quanto farebbe piacere ammettere. Le abitazioni, il piccolo caffè, la scuola, il cimitero, dove tutto si conclude, sono ancora lì a testimoniare il passato ritrovato di quest’isola abbandonata.
Queimada Grande – Stato di San Paolo (Brasile)
Una ventina di miglia a est delle coste dello Stato di San Paolo, nel Brasile meridionale, l’isola di Queimada Grande è un posto poco adatto all’essere umano. Rocce brulle, scarsa vegetazione e la più alta concentrazione di serpenti del mondo. Stando a un articolo pubblicato nel 2014 sullo Smithsonian Magazine, l’isola ospiterebbe dalle 2mila alle 4mila vipere della specie Bothrops insularis, comunemente conosciuto come serpente Lancia dorata: una delle più mortali al mondo ed endemica dell’isola di Queimada Grande. Attualmente in pericolo di estinzione, questo rettile letale avrebbe raggiunto le coste dell’isola all’incirca 11mila anni fa, quando era ancora collegata alla terraferma. Con il successivo innalzamento del livello dei mari, intrappolato nella sua nuova dimora insulare, ha proliferato, senza predatori naturali, nutrendosi dell’abbondante popolazione di volatili.

E gli esseri umani? All’inizio del Novecento il tentativo di impiantarvi una coltivazione di banani, bruciando la vegetazione dell’entroterra, si è rivelato infruttuoso, lasciandosi dietro la nuda roccia e il toponimo con cui l’isola è conosciuta. Il termine queimada significa infatti incendio boschivo. Gli ultimi abitanti ad aver abbandonato l’isola sono stati il guardiano del faro e la sua famiglia quando l’automatizzazione ha reso superflua la loro presenza. Attualmente l’accesso è consentito esclusivamente per motivi di ricerca. L’intenzione non è tanto quella di proteggere l’essere umano dai serpenti, quanto piuttosto i Lancia dorata dall’essere umano, visto che al mercato nero vengono venduti tra i 10mila e i 30mila dollari.
– Leggi anche: Isole sperdute selvagge e remote
Hashima – Prefettura di Nagasaki (Giappone)
È dall’Aprile del 2009 che l’isola di Hashima ha riaperto al pubblico. Piccoli gruppi raggiungono in battello il nuovo pontile in acciaio e cemento, proseguendo da qui la visita alle sue rovine. Architetture industriali entrate a far parte nel 2015 del Patrimonio dell’Umanità. Il tour dura qualche ora e si sviluppa lungo i confini meridionali dell’isola. Il resto, per ragioni di sicurezza, è interdetto ai visitatori. Una decina di miglia separano l’isola di Hashima dalla città di Nagasaki, a nord. Verso est la costa brulica di attività industriali con i capannoni e i moli della Mitsubishi a occupare il paesaggio, mentre a ovest il mare è costellato di isole e isolotti. In direzione sud quella di Hashima pare una corazzata da guerra alla fonda, in attesa di riprendere la navigazione.

Un inganno che stando ai rapporti della US Navy[2] ha tratto in errore perfino i comandanti della marina statunitense che nel corso della Seconda Guerra Mondiale, per andare sul sicuro, silurarono l’isola di Hashima scambiandola per una corazzata. Non è un caso, allora, che sia conosciuta anche con il nome di Gunkanjima, Isola della nave da guerra, alias quantomai combattivo se pensiamo al ruolo strategico e molto discusso che ha avuto nel processo di industrializzazione nipponico. Al di sotto della sua superficie fu scoperto, nella prima metà dell’Ottocento, un gigantesco giacimento di carbone, la cui estrazione fu avviata nel 1874 proseguendo ininterrottamente fino alla chiusura della miniera avvenuta cento anni dopo. A occuparsi del processo di estrazione il gruppo Mitsubishi che aveva acquistato l’isola nel 1890.

L’urbanizzazione di Gunkanjima ha seguito fin dall’inizio la crescente richiesta di manodopera esercitata dai suoi depositi carboniferi. Mentre la rete di gallerie sotterranee si ampliava, sulla superficie dell’isola furono costruite nuove fabbriche, depositi ed edifici per i lavoratori, tra cui scuole, bar, empori e bordelli. Nel 1916 venne edificato il primo grattacielo in cemento armato del Giappone: nove piani di una bruttezza radicale, ma efficiente, dove vennero stipati gli operai e le loro famiglie. A distanza di sicurezza gli appartamenti di dirigenti, quadri e insegnanti. Nel 1959 l’isola, tutt’altro che abbandonata, sfonda il primato delle 1391 persone per ettaro[3], facendone il luogo più popolato (e meno verde) della terra. La vita, inutile dirlo, era di una durezza spietata, resa ancora più difficile dal vento, dalla pioggia e dai tifoni che con frequenza biblica si abbattevano sull’isola. Alla storia di Gunkanjima il regista svedese Thomas Nordanstad ha dedicato un coraggioso documentario realizzato nel 2002, quando l’isola era ancora inaccessibile. Se volete saperne di più lo trovate qui.

Clipperton – Oceano Pacifico (Francia)
La scoperta di abbondanti depositi di guano fossilizzato sull’isola di Clipperton spinse la British Pacific Island Company ad acquisirne i diritti di estrazione dal governo messicano. Quest’ultimo collaborò con l’invio di un gruppo di coloni, tra i quali donne e bambini, che raggiunsero l’isola nel 1904. I rifornimenti venivano garantiti, ogni due mesi, da navi provenienti dalla Reppubblica del Messico: 690 miglia a est di Clipperton. Con lo scoppio della Rivoluzione e la caduta del presidente Porfirio Diaz, i coloni furono abbandonati a loro stessi e dovettero attendere tre anni prima di essere tratti in salvo dalla Yorktown, della marina statunitense.

All’arrivo della nave, nel 1917, erano sopravvissute solo quattro donne e sette bambini. L’ultimo uomo a morire sarà il guardiano del faro, ucciso a martellate da una delle donne. Proclamatosi re dell’isola dopo la morte del capo guarnigione e dei suoi uomini, avvenuta due anni prima nel tentativo di raggiungere una nave di passaggio, il guardiano Victoriano Álvarez stabilì la sua personale dittatura sull’isola, violentando e uccidendo le donne rimaste. Di questa folle e crudele storia si è occupato il giornalista Marco Ferrari nel suo libro Morire a Clipperton.
Morire a Clipperton
Marco Ferrari

Ross Island, Kala Pani – Andamane (India)
Nel gennaio del 1857 lo scoppio della Prima Guerra d’indipendenza Indiana spinse il governo britannico a cercare un luogo in cui internare ribelli e prigionieri politici. Quelli rimasti vivi, se non altro. La scelta ricadde sull’arcipelago delle Andamane, uno sperduto gruppo di isole nel Golfo del Bengala. Il primo gruppo di prigionieri, composto da 200 detenuti, raggiunse la minuscola isola di Ross il 10 marzo del 1858: due mesi dopo lo scoppio della rivolta. Al loro arrivo non c’era nulla e gran parte della pena consistette nella costruzione delle strutture penitenziarie. Cibo insufficiente, malattie tropicali, incursioni degli indigeni, piogge e infezioni resero i primi anni della colonia un inferno. Degli ottomila detenuti che avevano raggiunto l’isola di Ross, più di tremila morirono per malattie varie.

Se questo è già terribile, è ancora più terribile pensare che fu solo l’inizio dell’incubo nel gulag britannico. Le testimonianze raccolte per The Guardian da Cathy Scott-Clark e Adrien Levy raccontano di alimentazione forzata, esperimenti per la cura della malaria, torture fisiche e psicologiche che proseguirono fino al 1945 quando la colonia penale fu definitivamente chiusa e l’isola abbandonata. Vale la pena ricordare che se per gli internati la vita a Ross Island equivaleva a una lenta morte, nella stessa isola i sorveglianti britannici e le loro famiglie, ufficiali e ospiti di riguardo godevano della vita privilegiata dei colonialisti, in quella che un tempo era conosciuta come la Parigi d’oriente.
Rovine della chiesa presbiteriana
L’appellativo Kala Pani con cui la prigione di Ross Island veniva chiamata dai britannici può essere tradotto con acqua sporca e fa riferimento a un antico precetto indù che vietava l’attraversamento dell’oceano. La pena prevedeva la perdita dei legami familiari e sociali e l’impossibilità di reincarnarsi. Ben conosciuta dai britannici[4], la regola del kala pani fu applicata a scopo intimidatorio, imponendo ai prigionieri indù l’attraversamento della grande acqua per raggiungere le Andamane, privando così i detenuti del legame sociale e spirituale con il continente. Una condanna psicologica che si aggiungeva alle altre, sottraendo ai prigionieri perfino la speranza di poter essere riaccolti nella loro casta, una volta liberati.
North Brother Island – New York (Stati Uniti)
Tra le isole abbandonate presenti in questo articolo quella di North Brother Island sorprende per la sua vicinanza a una delle città più popolate della terra. Situata tre chilometri a est del distretto di Manhattan, lungo il corso dell’East River, l’isola fu abbandonata durante gli anni sessanta, con la chiusura del centro di riabilitazione per giovani tossicodipendenti. Negli anni precedenti aveva accolto veterani di guerra, malati di tifo e vaiolo. Ad alimentarne la reputazione, come luogo sinistro e maledetto, il naufragio della General Slocum[5] che complice l’incompetenza del capitano e un incendio scoppiato a bordo, andò a schiantarsi contro North Brother Island il 15 giugno del 1904. Delle 1342 persone a bordo, 1021 persero la vita, facendone il peggior disastro, in termine di vittime, dopo l’11 Settembre.

Oggi l’accesso all’isola è regolamentato dalla New York City Department of Parks & Recreation e speciali permessi vengono rilasciati per motivi di studio e ricerca. Da quando è stata abbandonata l’isola è diventata un’oasi faunistica e luogo di sosta per una grande quantità di uccelli migratori. Tra le sue rovine nidificano rondini, aironi, garzette e cormorani, che poco o nulla si interessano dalla storia passata di North Brother e dei suoi edifici pericolanti.

Note
1 E. Martino, I fantasmi di Spinalonga, Meridiani Creta, Agosto – Settembre 2019↵
2 A. Bender, The Mystery Island From ‘Skyfall’ And How You Can Go There, Forbes, 9 Novembre 2012, da https://www.forbes.com/sites/andrewbender/2012/11/09/the-mystery-island-from-skyfall-and-how-you-can-go-there/?sh=3031de37eea6↵
3 Hashima History, Wikipedia (en), 7 gennaio 2022, da https://en.wikipedia.org/wiki/Hashima_Island#History↵
4 Kala pani British period, Wikipedia (en), 7 gennaio 2022, da https://en.wikipedia.org/wiki/Kala_pani_(taboo)#British_period↵
5 General Slocum Il disastro, Wikipedia L’enciclopedia libera, 7 gennaio 2022, da https://it.wikipedia.org/wiki/General_Slocum#Il_disastro↵