Quando il 22 gennaio del 1969 il pontone della Marina Militare italiana lascia il porto di Rimini, facendo rotta verso la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, si conclude la breve vita di una delle micronazioni più singolari del mondo. Il gruppo sommozzatori dell’esercito è accompagnato da motovedette della Guardia Costiera, esperti di esplosivi, uomini in divisa e semplici marinai: obiettivo della missione la distruzione della piattaforma offshore conosciuta come Isola delle Rose.
Posizionata dodici mesi prima e giusto cinquecento metri al di là delle acque territoriali italiane, l’Insulo de la Rozoj (in esperanto, lingua ufficiale della micronazione) venne dichiarata illegale dal Governo Saragat che su comunicato dell’allora ministro degli Interni Tavani, dispose la distruzione della piattaforma e la rimozione dei detriti. Costo stimato dell’operazione (a carico degli ideatori) 31 milioni di lire: circa 300mila euro attuali.

Inutili le proteste degli albergatori locali e degli addetti al turismo; i politici se ne lavano le mani e inutili pure i tentativi da parte del costruttore di impugnare la decisione del governo italiano. L’Isola delle Rose doveva essere rasa al suolo e così sarà. Solo che la faccenda si rivela tutt’altro che semplice, complice l’ostinazione della struttura e le innovazioni tecnologiche adottate dall’ingegnere Giorgio Rosa per la sua costruzione.
Il primo round si concluderà l’11 febbraio del 1969.
I 675 Kg di esplosivo partito dal porto di Rimini vengono applicati ai pali della piattaforma, ma sono insufficienti e i nove piloni restano al loro posto.
Due giorni dopo, il 13 febbraio, la Repubblica delle Rose resiste a 1.080 Kg di esplosivo: la piattaforma si deforma un poco, ma senza subire ulteriori danni[1].
Il 26 febbraio 1969 ci pensa una tempesta, non senza un certo senso del pathos, a mettere fine alla faccenda. Le operazioni di recupero dei relitti andranno avanti nei giorni successivi ed è così che si conclude la vicenda dell’Isola delle Rose. Poi è questione di settimane perché la cronaca torni a occuparsi di altre questioni; dai movimenti studenteschi, all’Autunno caldo, dalla Guerra nel Vietnam a Jim Morrison arrestato per atti osceni in luogo pubblico, cose così insomma.
Ma dal 2009 succede qualcosa di nuovo, un rinnovato interesse per l’Isola delle Rose e per il suo ideatore l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa. Il documentario del 2009 prodotto da Cinematica, il libro di Veltroni del 2012 e il recente film (2020) diretto da Sidney Sibilla testimoniano l’attenzione del pubblico per una singolare storia italiana e per ciò che ha finito col rappresentare. Perché a seconda di come la si guardi l’Isola delle Rose è uno spazio architettonico mai veramente andato distrutto, destinato, come i sogni e le utopie, a cambiare col passare del tempo.
Come nasce l’Isola delle Rose
A partire dagli anni sessanta Rimini si trasforma nella Riviera d’Europa. Vagonate di viaggiatori provenienti dalla Gran Bretagna e dalla Francia, treni diretti Stoccolma-Rimini accompagnano sulle coste romagnole centinaia di migliaia di turisti. L’aeroporto di Miramare, a meno di un chilometro dalle spiagge affollate della Riviera, registra arrivi da record: più di 3.500 aerei e oltre 200mila passeggeri[2]. Si costruiscono alberghi, ville, campeggi e colonie estive. Ci sono locali notturni e sale da ballo, fanno la loro comparsa i primi bikini e le hit del momento vanno da Azzurro di Adriano Celentano a La bambola di Patty Pravo. Mary Hopkin canta Those Were The Days ed Hey Jude sarà il singolo più ascoltato nell’autunno del ‘68.

In questo stesso anno, nella data simbolica del 1° maggio, l’ingegnere Giorgio Rosa proclama l’indipendenza della micronazione da lui fondata e che prende il nome ufficiale di Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose. Situata 11,612 Km dalla Riviera romagnola, l’isola delle Rose è una piattaforma offshore di 400m2 disposta su due livelli, otto metri al di sopra della superficie del mare e sorretta da una struttura portante costituita da nove pilastri in acciaio. Una soluzione ingegneristica all’avanguardia, ideata dallo stesso Rosa che la registrerà nel 1969 come brevetto n°850987 dal titolo Sistema di costruzione di isole in acciaio e cemento armato per scopi industriali e civili. Per la realizzazione del progetto costituirà la S.P.I.C. (Società (Sperimentale) per Iniezioni di Cemento) di cui lui sarà direttore e la moglie Gabriella Chierici presidente.
La dichiarazione del Primo Maggio segnerà la fine del progetto imprenditoriale di Giorgio Rosa, dopo 55 giorni di esistenza l’Isola delle Rose sarà sottoposta a blocco navale da parte del governo italiano e da lì a un anno distrutta.

Come si è arrivati a tutto questo?
L’idea di un’isola artificiale stuzzicò la fantasia dell’ingegnere bolognese fin dagli anni cinquanta. Sia per ragioni di lavoro che per interesse personale le fortezze marittime Maunsell, costruite al largo delle coste britanniche durante la Seconda Guerra mondiale, rappresentarono per Giorgio Rosa un progetto ambizioso da cui partire per la realizzazione di una piattaforma libera da vincoli politici ed economici, un luogo non soggetto all’autorità di alcuno Stato.
Ecco che sorse in me l’idea di fare un’isola
dove ci fosse la vera libertà,
dove le persone intelligenti potessero procedere
e dove gli inetti fossero cacciati.[3]

Nel corso degli anni sessanta le fortezze Maunsell verranno occupate e da lì inizieranno a trasmettere le Radio Pirata britanniche. Se avete visto il film I love Radio Rock, sapete di cosa sto parlando. Sulla piattaforma Shivering Sands nascerà Radio City, su Red Sands radio Invicta, mentre, e qui la storia si fa interessante, il forte di Rough Sands verrà occupato dalla famiglia di Paddy Roy Bates che nel settembre del 1967 dichiarerà la struttura indipendente dalla Gran Bretagna, fondando il Principato di Sealand.
Con buona pace di Sua Maestà.

Gli elementi in comune con la futura Repubblica delle Rose sono parecchi, ma tanti sono anche gli aspetti divergenti nel progetto di Giorgio Rosa, sia nelle intenzioni che nei presupposti, rispetto alle esperienze comunitarie nate in giro per il mondo alla fine degli anni sessanta. Nel 1967 nasceva negli Stati Uniti la comunità di Twin Oaks, mentre Auroville venne fondata in India un anno dopo. In Italia la prima comune vide la luce a Villa Fassini, nel comune di Terrasini (Sicilia) a cavallo tra gli anni sessanta e i settanta.

Un movimento di ricerca che individua in spazi autogestiti, bolle comunitarie non soggette ai principi morali, sociali e politici degli Stati, il presupposto di esperienze di libertà e autodeterminazione. E con un occhio, nel caso della Repubblica delle Rose, alla vicina Rimini, capitale affollata, ricca e chiassosa del turismo italiano. Come ha chiarito il fondatore della Repubblica esperantista in un bell’articolo di Graziano Graziani su Stati d’eccezione:
avevamo intenzione di diventare un’attrazione turistica […]
Pensavamo di mettere in piedi degli esercizi commerciali.
Aprimmo un bar e un ufficio postale, emettendo varie serie di francobolli. Volevamo creare una banca e coniare monete.
Niente droghe e niente orge, niente night club o radio pirata, nessuna connivenza con la CIA o il KGB. L’Isola delle Rose ha il profumo dell’Utopia, certo, ma quello che più conta per Giorgio Rosa è sdoganarsi dai lacci e lacciuoli della politica italiana, dai comunisti [che] cercavano di combattere i signori, [dai] politici asserviti ai russi o agli americani e, con un’insofferenza cosmica, da tutti i sistemi statali abbarbicati alle religioni e alle sette.[4] Ed è così che, per andare sul sicuro dal punto di vista legale, decide di consultare Angelo Piero Sereni, docente all’Università di Bologna e massimo esperto italiano di diritto Internazionale.
L’isola delle Rose, ovvero: come nasce una micronazione
L’autorevolezza del professor Sereni è riconosciuta a livello internazionale. Ha insegnato, come professore a contratto, alla Columbia University e nella sede bolognese della Johns Hopkins University e dal 1954 ha ottenuto la cattedra di diritto internazionale all’Università di Bologna. Sereni assicura a Rosa che, dal punto di vista giuridico, una piattaforma installata oltre le acque territoriali, non è soggetta alle leggi di nessuno Stato. Dal presupposto, alquanto logico, che altrimenti non si chiamerebbero acque internazionali. All’epoca il confine marittimo si estendeva per sei miglia nautiche dalla costa (11,112 Km).
Il punto Z, questo il nome scelto per indicare la posizione della futura piattaforma, verrà così stabilito a 11,612 Km dalla Riviera, 500 metri al di là delle acque territoriali italiane, con una profondità stimata in 13,40 metri con l’alta marea.

Il diritto è dalla sua parte, le conoscenze ingegneristiche non sono un problema e tanti sono gli amici e conoscenti che si appassionano al progetto. Mica da tutti avere un amico con il pallino per le utopie. Ed è così che nasce la repubblica delle Rose e la cui cronologia segue gli inevitabili imprevisti che sempre accadono in edilizia, gli esaltanti successi dei primi mesi, quando navi cariche di turisti dettero volta ai piloni della struttura e l’opposizione del governo italiano in un clima sempre più ostile al pionieristico progetto dell’ingegnere bolognese. Da questo punto in poi, per mettere in fila date e fatti potete dare un’occhiata alla mappa qui in basso, con la cronologia della Repubblica delle Rose: la micronazione italiana durata solo 55 giorni.

Isola delle Rose: una cronologia
L’isola delle Rose: una questione di punti di vista
Con la distruzione della piattaforma si conclude il progetto imprenditoriale di Giorgio Rosa. La sua micronazione esistita per soli 55 giorni viene cancellata dalla superficie del mare Adriatico e, con rapidità allarmante, dalla memoria pubblica che trova di lì a breve altre questioni di cui (pre) occuparsi. L’interesse per questa singolare vicenda torna a riaccendersi nel 2009 con il documentario prodotto da Cinematica (DVD + libro) e con il successivo romanzo di Walter Veltroni uscito nel 2012 dal titolo L’isola e le rose. Negli anni successivi scriveranno della vicenda, osservandola da punti di vista diversi, Stefano Ciavatta con un articolo su Linkiesta, L’isola di Veltroni era il paradiso fiscale di un fascista e il già citato Graziano Graziani sulle pagine digitali di Stati d’Eccezione, L’isola delle Rose. Storia della piccola Atlantide.
Nel gennaio 2020 la rivista di architettura Domus pubblica poi un articolo firmato da Giovanni Comoglio dal titolo Isola delle Rose: una repubblica esperantista. L’autore prende spunto da una precedente riflessione dell’architetto Joseph Grima, già direttore della rivista dal 2011 al 2013, che vede nell’Isola delle Rose, una sorta di chiamata alla riflessione, una riflessione sul potere e la responsabilità della tecnologia come realizzatrice di pensieri altrimenti utopici.[5]
Vi lascio con gli ultimi tre collegamenti agli archivi storici del Corriere della sera,del quotidiano L’Unità e de La Stampa. Non so a voi, ma a me fa sempre una certo effetto rileggere nelle vecchie pagine come sono andate le cose. È un po’ come guardare una vecchia mappa geografica, non sarà tutto al suo posto, mancheranno dei luoghi, ma è una buona fotografia per capire, più dall’assenza di certe cose che dalla loro presenza, come sia stata percepita all’epoca questa singolare vicenda italiana.
L’ingegnere Giorgio Rosa è morto a Bologna il 2 marzo del 2017.
Note
1 Isola delle Rose (micronazione), La distruzione, Wikipedia L’enciclopedia libera, 10 novembre 2020, da https://it.wikipedia.org/wiki/Isola_delle_Rose_(micronazione)#La_distruzione↵
2 Sei di Rimini se, settembre 2019, Storia del turismo, da https://www.seidiriminise.it/scopri-rimini-romagna/storia-di-rimini/approfondimenti/storia-turismo-riviera-romagnola.html↵
3 Issuu.com, 16 novembre 2010, “L’isola delle Rose” di Giorgio Rosa, da https://issuu.com/persianieditore0/docs/isoladellerose↵
4 Ibid.↵
5 G. Comoglio, Domus, Isola delle Rose: una repubblica esperantista, 11 novembre 2020, da https://www.domusweb.it/it/dall-archivio/gallery/2020/01/29/isola-delle-rose-una-repubblica-esperantista-su-domus.html#0↵