Vulcano Chimborazo: il monte e la storica ascesa di Humboldt

Era il 23 giugno del 1802 quando il naturalista prussiano Alexander von Humboldt tentò di raggiungere la vetta del Chimborazo. In caso di successo, sarebbe stato il primo uomo – o forse il primo europeo – a scalare il vulcano andino, considerato all’epoca la montagna più alta del mondo.

Humboldt era al suo terzo anno di viaggio in Sudamerica. Lo spirito di avventura e di adattamento non gli mancavano e non difettava nemmeno di esperienza su altre montagne. L’impresa, però, sembrava disperata. Per raggiungere i 6310 metri di altezza della vetta del Chimborazo, lui e i suoi compagni non disponevano di abbigliamento e attrezzatura da arrampicata. Non avevano nemmeno un paio di guanti, figurarsi la piccozza e gli occhiali da alpinismo, che dovevano ancora essere inventati. Indossavano stivali rovinati e fradici, che poco proteggevano il piede che Humboldt si era ferito in una precedente arrampicata.

Sullo sfondo il Chimborazo innevato, in primo piano Humboldt e Bonpland

Eppure, quel tentativo di scalata è diventato uno degli eventi più significativi nella storia del Chimborazo, almeno dal punto di vista umano. Il vulcano andino divenne infatti protagonista di una delle più famose rappresentazioni scientifiche della natura – la Naturgemälde di Humboldt – e di vari dipinti legati alle esplorazioni del naturalista prussiano. E, sempre sulle orme di Humboldt, da qualche anno gli scienziati studiano i cambiamenti climatici sulle sue pendici che, di fatto, si contendono il primato di montagna più alta del mondo con l’Everest.

Il Chimborazo, Humboldt e la Naturgemälde

Mentre in Europa si disputavano battaglie e Napoleone si avviava a diventare imperatore, Alexander von Humboldt intraprendeva un viaggio che sarebbe durato cinque anni (1799-1804) verso il continente americano.

A differenza di altre spedizioni dell’epoca, quella di Humboldt fu finanziata in modo indipendente. Grazie al generoso patrimonio ereditato dalla madre, l’unica cosa che gli mancava era il permesso di viaggiare da parte del re spagnolo Carlo IV. Ottenuto l’agognato visto, Humboldt si imbarcò insieme al botanico francese Aimé Bonpland in un’impresa che non aveva obiettivi economici, politici, coloniali, o nazionali[1]. Lo scopo principale era realizzare il sogno di Humboldt di esplorare un mondo ancora nuovo, sconosciuto e raccogliere informazioni su piante, animali, popolazioni umane, rocce e clima.


In cinque anni si fermò prima alle Canarie e al Pico del Teide, il grande vulcano dell’isola di Tenerife; continuò poi il suo viaggio in Venezuela, Cuba, Colombia, Ecuador, Perù, Messico e Stati Uniti, dove conobbe Thomas Jefferson. Portò con sé numerosi strumenti scientifici e insieme a Bonpland raccolse una quantità incalcolabile di dati, campioni di piante e semi, provò l’esistenza di un canale che collegava l’Orinoco al Rio delle Amazzoni e, poco tempo dopo la scalata del Chimborazo, iniziò a tratteggiare la Naturgemälde, la sua “descrizione” della natura in forma visuale.

La Naturgemälde (o Tableau Physique) di Humboldt, con il Chimborazo sulla sinistra
La Naturgemälde (o Tableau Physique) di Humboldt, con il Chimborazo sulla sinistra

La mente di Humboldt, diremmo oggi, era di tipo visuale e aveva un approccio olistico, ecologico. Scovava connessioni ovunque e, nel suo percorso da valle fino alla vetta del vulcano Chimborazo, vide specie di piante, muschi e licheni che assomigliavano ad altre che aveva visto in Europa e altrove nel suo cammino.

Quando scopriva specie nuove non si limitava a raccoglierle con l’obiettivo di catalogarle: anziché focalizzarsi sulle differenze, era affascinato dalle somiglianze, dalle relazioni e dall’unità che vedeva nel mondo naturale.

Quest’idea di unità divenne ancora più forte dopo l’ascesa al monte Chimborazo. Nel suo percorso verso la vetta, passò dalle piante tropicali a valle fino ai muschi e licheni “artici” in prossimità del limite delle nevi perenni. Si rese conto di aver fatto una sorta di viaggio dall’equatore (il Chimborazo si trova in effetti all’equatore, a poco più di un grado di latitudine sud) ai poli e che, in diverse parti del globo, gli ambienti con condizioni climatiche simili erano colonizzati da piante, muschi e licheni con forme analoghe. Insomma, pur nella diversità, la natura di tutto il mondo si assomigliava.

Chimborazo, di Frederic Edwin Church - La foresta equatoriale e, sullo sfondo, il Chimborazo
Chimborazo, di Frederic Edwin Church – La foresta equatoriale e, sullo sfondo, il Chimborazo

Tornato in Europa, rielaborò le idee e i dati raccolti in cinque anni di esplorazione. Pubblicò diversi volumi, terminò la Naturgemälde e sviluppò il concetto di isoterma, che descrisse nel 1816 come una “curva tracciata attraverso punti su un globo che ricevono un’uguale quantità di calore”[2]. Era un ulteriore modo per individuare unità e relazioni tra diversi luoghi della Terra e, sulla base delle teorie e conoscenze di Humboldt, qualche anno dopo William Channing Woodbridge realizzò la prima mappa globale delle isoterme.

Mappa delle isoterme di Woodbridge, basata sui dati di Humboldt
Mappa delle isoterme di Woodbridge, basata sui dati di Humboldt

I dati raccolti e rielaborati da Humboldt, le sue idee e illustrazioni confluirono nei libri che pubblicò e che furono di ispirazione per numerosi scienziati e intellettuali dell’epoca. Humboldt fu un grande disseminatore di idee, generoso con i colleghi, soprattutto i più giovani, e i suoi testi furono letti e riletti da Charles Darwin durante il suo viaggio intorno al mondo a bordo della Beagle.

Quadri della natura, ancora oggi in commercio, è uno dei suoi capolavori, un diario di viaggio arricchito da mappe e tavole a colori e in bianco e nero.

Quadri della natura
Alexander von Humboldt

Quadri della natura, di Alexander von Humboldt

Arrivato a questo punto, mi sembra di aver raccontato una storia a lieto fine. E in effetti lo è, ma non furono solo rose e fiori. Humboldt e i suoi compagni di viaggio tornarono sani e salvi dal Chimborazo solo per una fortunata circostanza.

L’ascesa del Chimborazo

Le premesse per provare l’attacco alla vetta del Chimborazo non erano buone. Humboldt, Bonpland, il ventunenne Carlos de Montúfar che si era unito al duo europeo a Quito, insieme a qualche accompagnatore locale, tentavano di scalare la montagna ritenuta più alta del mondo a mani nude e in condizioni precarie. Al punto che, verso quota 4750 metri, i portatori si rifiutarono di proseguire[3].

E non avevano tutti i torti. Probabilmente sapevano che oltre una certa quota le condizioni diventano gravose per l’organismo umano e che andare avanti presentava troppi rischi. Humboldt e i suoi compagni decisero di continuare da soli verso la vetta del Chimborazo, ma le difficoltà presto aumentarono. La nevicata in corso si fece più fitta, la visibilità diminuì e a un certo punto dovettero proseguire strisciando su una cresta che si era ristretta a pochi centimetri, con precipizi a destra e a sinistra. Eppure non si arresero e andarono avanti fino a che non furono bloccati da un crepaccio. Avevano superato di poco quota 5900 metri, ma non c’era modo di proseguire.

Frederic Edwin Church, Il cuore delle Ande
Il Chimborazo innevato: si intuisce la difficoltà di scalata – Frederic Edwin Church, Il cuore delle Ande

Il crepaccio fu la fortuna di Humboldt e compagni. Senza quell’ostacolo insormontabile sarebbero probabilmente proseguiti oltre, noncuranti della nausea, del naso e delle gengive sanguinanti e dello stress a cui sottoponevano i loro corpi. Forse avrebbero anticipato le sorti di molti scalatori dell’Everest: come è raccontato da Jon Krakauer in Aria sottile, oltre una certa quota la mente fa fatica a ragionare ed è ammaliata dalla conquista vetta, una sorta di sirena che ti porta sempre più in alto, spesso con esiti fatali.

Il crepaccio bloccò invece l’ascesa di Humboldt e compagni. A malincuore, scelsero di fare dietrofront, ma mentre scendevano la neve cadeva con forza e persero l’orientamento. Stremati, quasi per caso si imbatterono nei portatori che li avevano aspettati più in basso e che li condussero in salvo a valle[4].

Non poteva andare meglio di così. Humboldt riuscì a salvare la pelle ed era andato più in alto di chiunque altro nella storia, anche in mongolfiera[5]. Fu questa impresa da record, più di ogni altra cosa, a cementare la celebrità mondiale di Humboldt, la cui fama, si diceva, era seconda solo a quella di Napoleone.

Il Chimborazo e l’Everest

All’epoca di Humboldt era opinione diffusa che le Ande fossero la più alta catena montuosa al mondo e il Chimborazo il picco più elevato. Il naturalista prussiano non ne era del tutto convinto. Secondo lui bisognava studiare più da vicino l’Himalaya e per anni cercò di ottenere il permesso per una spedizione. Per raggiungere la più grande catena montuosa asiatica bisognava però passare attraverso l’India controllata dagli inglesi e, per motivi politici, il visto di ingresso gli fu sempre negato. Forse, fu il più grande rimpianto della sua vita lunga e avventurosa.

Ancora una volta, Humboldt ci aveva visto giusto: qualche decennio dopo le vette himalayane si rivelarono le più alte del pianeta, con il Peak XV − poi rinominato Everest − che raggiungeva, secondo una misurazione del 1852, la quota di 8840 metri. Questo basterebbe a chiudere qualsiasi disputa su quale sia la montagna più alta del mondo, ma recentemente il Chimborazo è tornato a far parlare di sé.

Calcolando l’altitudine sul livello del mare, l’Everest è la montagna più alta del mondo. Se però prendiamo le misure a partire dal centro della Terra, la vetta del Chimborazo è la più distante. Il motivo è nella forma del nostro pianeta: non è una sfera perfetta, ma è leggermente schiacciato ai poli e rigonfio all’equatore, come forse si intuisce dall’immagine qui sotto:

La Terra è leggermente schiacciata ai poli e rigonfia all'equatore
La Terra è leggermente schiacciata ai poli e rigonfia all’equatore – Cmglee, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Il Chimborazo è a soli 1,28 gradi di latitudine sud, praticamente sull’equatore e la sua vetta è il punto più distante dal centro della Terra.

Qual è insomma la montagna più alta del mondo? Le risposte possibili sono tre.

La vetta del Monte Everest è la più alta sul livello medio del mare (8849 metri).

La sommità del Monte Chimborazo è il punto più lontano dal centro della Terra. La sua vetta è di oltre 2.072 metri più lontana dal centro del pianeta rispetto a quella del Monte Everest.

Il vulcano Mauna Kea (Hawaii) è la montagna più alta se misurata dalla sua base sotto il livello del mare. In questo caso, la sua altezza sarebbe di circa 9966 metri [6].

Il Chimborazo e i cambiamenti climatici

I monti come il Chimborazo, situati tra tropici ed equatore, sono un palcoscenico ideale per studiare i cambiamenti climatici. Come si era accorto lo stesso Humboldt, raggruppano molti climi in uno spazio relativamente piccolo e spesso queste montagne sono più sensibili di altri ambienti all’aumento delle temperature globali.

Da qualche anno, gli scienziati di varie università e centri di ricerca stanno studiando gli effetti dei cambiamenti climatici sul Chimborazo. Nel parla ampiamente Science in un articolo in inglese, che se avete qualche minuto vi consiglio di leggere: lo trovate qui. Dall’epoca dell’ascesa di Humboldt sul Chimborazo, i ghiacciai si sono in parte ritirati e le piante sono salite più in alto di oltre duecento metri.

Coltivazioni ad alta quota sul vulcano Chimborazo
Coltivazioni ad alta quota sul monte Chimborazo – Foto di Bernard Gagnon, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia

Insieme ai ghiacci e alle piante, avanzano verso l’alto i contadini e le coltivazioni. All’epoca di Humboldt, le colture agrarie arrivavano fino a circa 3600 metri di altitudine, oggi a 4000 metri. Le coltivazioni di espandono, ma allo stesso tempo la disponibilità di acqua è meno costante e abbondante che in passato e diversi pozzi, soprattutto a valle, si sono prosciugati. La situazione, oltre a generare preoccupazioni ai singoli agricoltori, crea tensioni e conflitti per la scarsità e la gestione delle acque tra le popolazioni a valle e a monte.

Lo scioglimento dei ghiacci ha creato un paesaggio lunare, liberando ampi tratti di rocce e terreno scuro, che rispetto al bianco della neve assorbe più calore e amplifica le conseguenze dell’aumento delle temperature. Il terreno così scoperto è inoltre soggetto a frane, spesso pericolose.

Chimborazo: lo scioglimento dei ghiacci e il terreno scoperto scuro e franoso
Chimborazo: lo scioglimento dei ghiacci e il terreno scoperto scuro e franoso

Cambiamenti di temperatura, scarsità d’acqua, tensioni tra popolazioni, frane e dissesto idrogeologico: sono tutti fenomeni che si potrebbero verificare – e si stanno verificando – in ambienti montuosi simili al Chimborazo e che, sebbene in modo diverso, si manifestano pure a livello globale.

La Naturgemälde appare così come l’istantanea di un recente passato in cui il mondo non subiva gli effetti devastanti del cambiamento climatico, da cui però la mente olistica di Humboldt ci aveva messo in guardia, già due secoli fa.

Un libro su Humboldt e il Chimborazo

Questo articolo non sarebbe stato possibile senza la lettura de L’ invenzione della natura. Le avventure di Alexander Von Humboldt, l’eroe perduto della scienza, di Andrea Wulf. Un saggio che si legge come un romanzo di avventura, ricchissimo, rigoroso e scritto divinamente. Un’immersione profonda nella vita e nel tempo di Humboldt, di cui si raccontano ampiamente le avventure in Sudamerica, compresa l’ascesa del Chimborazo.

L’invenzione della natura.
Le avventure di Alexander Von Humboldt, l’eroe perduto della scienza

Andrea Wulf

L' invenzione della natura. Le avventure di Alexander Von Humboldt, l'eroe perduto della scienza

Note

1 Schaumann, C. (2009). Who Measures the World? Alexander von Humboldt’s Chimborazo Climb in the Literary Imagination. The German Quarterly, 82(4), 447–468. https://www.jstor.org/stable/25653614

2 The First Isothermic World Maps, tratto da Worlds Revealed: Geography and Maps at The Library Of Congress. https://blogs.loc.gov/maps/2018/04/the-first-isothermic-world-maps/

3 L’ invenzione della natura. Le avventure di Alexander Von Humboldt, l’eroe perduto della scienza, di Andrea Wulf. 2017, Luiss University Press.

4 Alexander von Humboldt and the ascent of Chimborazo, tratto da Deutsches Historisches Museum: Blog. https://www.dhm.de/blog/2016/11/17/humboldt-and-the-ascent-of-chimborazo/

5 Smith, J. (2013). Humboldt’s New World. Nature, July/August 2013. https://www.nature.org/en-us/magazine/magazine-articles/humboldts-new-world-1/

6 Dato recuperato sul National Geographic, https://www.nationalgeographic.org/media/mauna-kea/

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