L’arbre du Ténéré era considerato l’albero più isolato al mondo. Si trovava nel deserto del Ténéré, in Niger, nella parte centromeridionale del Sahara. Un solitario, un eremita, in grado di sopportare la mancanza di acqua, ma anche della compagnia dei suoi simili.
Eppure l’albero del Ténéré non era poi così solo. Aveva visto passare generazioni di nomadi del deserto, e ancor più file di carovane che trasportavano merci e sale tra Agadez, città Tuareg del Niger, e l’oasi di Bilma. Gli uomini del deserto che con i loro animali attraversavano le rotte carovaniere del Sahara e del Ténéré erano consapevoli del valore della pianta; ancora vicini a una natura particolarmente dura e che non lascia scampo a scelte poco assennate, avevano sempre rispettato quell’albero così isolato, e così prezioso. Posto lungo una rotta carovaniera, era per loro un faro che segnava la strada verso l’oasi di Bilma, ma anche un amico che al ritorno indicava la via di casa.
L’albero del Ténéré – un’acacia − ha visto cambiare le tecnologie umane e il loro uso. Col passare del tempo, alle carovane composte da uomini e dromedari, si sono affiancati i camion, più veloci, performanti, rumorosi, che hanno allontanato gli esseri umani dal contatto diretto con il deserto, la sabbia e le poche forme di vita che ci sopravvivono. L’albero deve aver guardato con interesse e malinconia queste novità; e forse capì che un’epoca era finita e anche per lui era giunto il tempo di cambiare.
Nel corso del XX secolo, ben due camion sono finiti contro l’acacia e il secondo scontro è stato fatale. Nel 1973 un camionista l’ha investita durante una manovra, ma per fortuna altri esseri umani si sono presi cura dei resti dell’albero ormai morto e li hanno custoditi in un museo. In un certo senso si è sacrificato, ma i suoi resti tuttora ci parlano e se ascoltiamo le sue parole diamo ancora vita al messaggio e alla storia dell’albero del Ténéré.
I protagonisti della storia dell’albero del Ténéré
Pur essendo passati quasi cinquant’anni dalla morte della pianta, la storia dell’albero del Ténéré è viva e il suo fascino non è dovuto solo al fatto che fosse considerato l’albero più isolato al mondo. Anzi, con ogni probabilità non lo era.
Era un albero solitario, un eremita rimasto nel deserto; e mentre i suoi simili erano scomparsi, lui ancora sopravviveva in uno dei luoghi più aridi del pianeta. Una tenacia che ha suscitato l’ammirazione e il rispetto di quei popoli che attraversavano il deserto e che ormai avevano familiarizzato con lui. Albero, deserto ed esseri umani avevano dato vita a una storia di amicizia e ne erano diventati inconsapevolmente protagonisti.
L’albero
L’albero del Ténéré era un’acacia, più precisamente una Acacia tortilis raddiana. L’acacia raddiana è una sottospecie dell’ Acacia tortilis, nota quest’ultima come acacia a ombrello.
Appartiene alla famiglia delle Fabacee, o Leguminose, gruppo che include piante piuttosto comuni come i fagioli, l’erba medica, le ginestre. E, come le altre piante di questa famiglia, anche l’albero del Ténéré era in grado di fissare l’azoto atmosferico, assicurandosi in questo modo un importante nutriente anche nei terreni più aridi. All’Acacia tortilis raddiana non mancano altri adattamenti alla vita desertica, come la capacità di sviluppare radici fitte e profonde, in grado di scovare le goccioline d’acqua più piccole e nascoste. Nel 1938 fu scavato un pozzo in prossimità dell’arbre e si scoprì che le sue radici raggiungevano una falda freatica profonda almeno 33 metri.
Insomma, la natura ha donato all’acacia raddiana la capacità di sopravvivere in condizioni estremamente aride e, tra gli individui della sua specie, l’albero del Ténéré era sicuramente uno dei più dotati. Ma perché si trovava proprio lì? Per scoprirlo dobbiamo conoscere un altro personaggio della storia, il deserto.
Il deserto
Il Ténéré è un pezzo del Sahara. Il suo nome deriva dalla lingua Tuareg e significa deserto. Si estende per circa 400.000 chilometri quadrati − quasi una volta e mezzo l’Italia − per lo più in Niger, nella sua parte settentrionale fino ai confini libici e algerini, e a est fino al lago Ciad. È proprio il lago Ciad l’ultimo testimone di un passato in cui il Ténéré era una terra fertile, in cui vivevano gli esseri umani preistorici. Una presenza, quella umana, testimoniata dai resti di strumenti in pietra del Paleolitico (circa 60.000 anni fa) e dalle incisioni e dipinti rupestri del Neolitico (circa 10.000 anni fa). Il Ténéré e il Sahara erano attraversati da una rete fluviale che comprendeva il Tefassaset, un grande fiume, oggi scomparso, che alimentava il lago Ciad.
Nel corso dei millenni il Sahara si è progressivamente inaridito e con le acque se ne sono andate anche le popolazioni umane, animali e, più lentamente, quelle vegetali. Le fertili pianure del Sahara sono rimaste così punteggiate di acacie a ombrello sempre più rare e isolate, come l’albero del Ténéré, l’ultimo sopravvissuto di un gruppo di alberi cresciuti quando il deserto era meno arido.
Il rapporto tra uomo e albero: l’amico delle carovane
L’albero del Ténéré è cresciuto nel territorio dei Tuareg dell’Aïr, un massiccio montuoso situato nel nord del Niger che, nel suo versante orientale, confina con il deserto del Ténéré. A quanto pare, tra il XIII e il XV secolo i Tuareg dell’Aïr scoprirono l’oasi di Bilma e le sue saline e da allora iniziarono le prime carovane che partivano da Agadez – la capitale dell’Aïr – per arrivare fino a Bilma. Nel viaggio di andata, come merce da vendere trasportavano miglio, zucchero, stoffe di Kano e manufatti, mentre sulla via del ritorno il carico era composto da sale e datteri[1].
Nei periodi di massimo splendore le carovane arrivavano a contare fino a 25.000 dromedari (sì, venticinquemila) e dovevano essere uno spettacolo magnifico, che veniva festeggiato dagli abitanti delle oasi quando vedevano profilarsi all’orizzonte una striscia scura che annunciava il loro arrivo. Fino al 1907 si facevano tre viaggi all’anno, ma l’importanza del taghlamt, la carovana di dromedari che partiva da Agadez per arrivare alle saline di Fachi e di Bilma, è diminuita nel tempo, specialmente nel corso del XX secolo. Oggi viene fatto un solo viaggio all’anno, generalmente in ottobre, e il numero di dromedari utilizzati si è notevolmente ridotto. Le vie del sale del taghlamt e dell’azalaï (che va dalle saline di Taoudeni fino a Timbuctù) sono tra le ultime rotte carovaniere del Sahara ancora in vita, pur essendo in gran parte sostituite da strade non asfaltate percorse dai camion.
L’albero del Ténéré si trovava lungo il taghlamt − la rotta che collegava Agadez a Fachi e Bilma − e scandiva il viaggio della carovana. Questa, dopo aver lasciato Agadez, raggiungeva l’albero dopo tre giorni di cammino e dopo altri tre giorni arrivava a Fachi, dove una piccola parte del convoglio si fermava. Il resto della carovana proseguiva per giungere a Bilma dopo ulteriori quattro giorni.
L’acacia più isolata al mondo si trovava a circa un terzo del percorso ed era un punto di riferimento nella via del taghlamt, al punto da essere l’unico albero segnalato su una mappa in scala 1:4.000.000, la grande carta dell’Africa; ed era presente anche nella mappa del Niger, in scala 1:250.000. Era insomma una sorta di faro che indicava la via per Fachi e Bilma, la conferma che la carovana era sulla rotta giusta; e al ritorno era una presenza amichevole, la certezza per i viaggiatori di essere a soli tre giorni da casa.
La riscoperta dell’albero (da parte degli occidentali)
Nel corso del XX secolo, e forse anche prima, l’albero del Ténéré ha iniziato ad avvistare altri esseri umani, spesso dotati di mezzi a motore e dall’accento francese. Come il comandante Michel Lesourd, del Service central des Affaires sahariennes, che nel 1939, colto dallo stupore di fronte a quell’acacia così isolata, scriveva:
Era difficilmente spiegabile che un albero così isolato sopravvivesse. Non solo per la mancanza d’acqua, ma perché i dromedari delle carovane avrebbero potuto mangiarne le foglie; ma, sottolinea Lesourd, anche gli stessi Tuareg avrebbero potuto tagliarne i rami e bruciarli per prepararci il tè. Secondo lui, l’acacia era diventata un tabù, c’era una sorta di ordine tribale che veniva sempre rispettato. Un tabù che nasceva dall’utilità dell’albero (e forse non solo da quello), l’unico prezioso punto di riferimento lungo la via da Agadez a Bilma; e pertanto l’acacia veniva rispettata, un po’ come avviene tutt’ora per i boschi sacri in India protetti dalle comunità rurali[2].
Era davvero l’albero più isolato al mondo?
Molte fonti riportano che l’albero del Ténéré era il più isolato al mondo, l’unico per oltre 400 chilometri secondo una pagina di Wikipedia in inglese[3]; una pagina di Wikipedia in italiano parla addirittura di “400 km da ogni altra vegetazione” [4]. Non sono riuscito a trovare la fonte originaria di questo numero, ma facendo una prova sulle mappe di Google si può vedere che le distanze sono un po’ diverse.
Le oasi più vicine all’albero, come si vede dalla mappa, sono a ovest quelle di Timia, nel massiccio dell’Aïr e a est quella di Fachi, lungo la rotta carovaniera che portava fino a Bilma. Le due oasi distano rispettivamente circa 153 e 163 chilometri in linea d’aria dal punto in cui si trovava l’albero. Con queste distanze, poteva essere ancora considerato il più isolato al mondo?
Attualmente l’albero più isolato al mondo è un peccio di Sitka che vive nell’isola Campbell, a sud della Nuova Zelanda. In quest’isola non crescono alberi, ma intorno al 1907 l’ex governatore neozelandese Lord Ranfurly piantò qui un peccio di Sitka (Picea sitchensis), una specie peraltro originaria dell’Alaska. Pur con qualche difficoltà, la pianta è sopravvissuta fino a oggi e l’albero più vicino si trova a quasi 300 kilometri, nelle Isole Auckland.
Dal 1907 l’albero del Ténéré non è stato quindi il più isolato al mondo, prima di allora è probabile che lo fosse. Ma questo nulla toglie al fascino della sua storia.
Lo scontro con la modernità
Nel 1959 lo storico francese Raymond Mauny giunse presso l’albero del Ténéré, scattò alcune foto e in uno dei suoi scritti rivelò di essere rimasto stupito confrontando le sue foto con quelle realizzate nel 1939 dal comandante Lesourd (immagine sotto). Il volume dell’albero era chiaramente diminuito in venti anni e il motivo era legato a un incidente: un camion militare, facendo manovra, ne incrinò uno dei rami principali, che a quanto pare in seguito fu segato e utilizzato per qualche scopo.
Almeno per gli esseri umani motorizzati, l’albero non era più un tabù e da lontano appariva ormai secco. Secondo il resoconto di Mauny, solo da vicino si vedeva che l’albero era ancora vivo[5]:
Un’esperienza simile è raccontata dall’archeologo francese Henri Lhote. Nel 1934 vide l’albero per la prima volta e lo descrisse come un’acacia dal fusto malato nell’aspetto, ma con foglie verdi e qualche fiore giallo. Nel 1959 incontra l’acacia per la seconda volta, ma stenta a riconoscerla[6]:
Nella foto qui sotto scattata all’inizio degli anni ’70, l’albero appare in effetti infelice.
L’albero oggi
Un camionista nel 1973 pose fine alla vita dell’albero, ma non alla sua storia. Altri esseri umani se ne presero cura, lo caricarono su un altro camion e lo portarono nella città di Niamey, dove ancora oggi si trova esposto al Musée National Boubou Hama, il museo nazionale del Niger.
L’albero del Ténéré aveva raggiunto ormai l’età di circa 300 anni. Un traguardo non da poco per un’acacia che ha sempre dovuto lottare per procurarsi acqua e nutrimento e che, dopo essere stata protetta dalle carovane Tuareg e aver suscitato l’ammirazione di storici e archeologi, non ha superato l’impatto (anzi, gli impatti) con l’avvento di mezzi di locomozione motorizzati e di esseri umani che avevano dimenticato il tabù e il valore intrinseco della pianta.
Eppure l’arbre ha continuato a raccontare la sua storia, non solo dal museo della capitale Niamey, ma anche attraverso libri, riviste, video e pagine web. E persino con due strane opere d’arte collocate nel punto in cui un tempo sorgeva l’albero segnato sulle mappe.
Note
1 Beltrami, V. (1984). LA CAROVANA DEL SALE E L’ALBERO DEL TENERE. Africa: Rivista Trimestrale Di Studi E Documentazione Dell’Istituto Italiano per L’Africa E L’Oriente, 39(4), 656-662. Consultato il 15 agosto 2020, su www.jstor.org/stable/40759772↵
2 Per approfondire: https://www.lescienze.it/archivio/articoli/2019/03/01/news/boschi_sacri-4314042/↵
3 Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Tree_of_T%C3%A9n%C3%A9r%C3%A9 , consultata il 15/08/2020↵
4 Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/T%C3%A9n%C3%A9r%C3%A9 , consultata il 15/08/2020↵
5 http://www.the153club.org/tenere2.html↵
6 Ibid.↵